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Il Foglio sportivo

Le donne della Roma e lo scudetto delle prime volte

Cristina Fantoni

Che cosa c’è dietro la vittoria nel campionato di calcio femminile da parte di Giacinti & co. Un cammino senza mai voltarsi indietro, con soli sei punti lasciati per strada in tutta la stagione

Sono passati sette giorni, eppure ancora c’è spazio per lo stupore. L’As Roma Women si allena, lavora, e poi si ferma. Può toccare al direttore sportivo Gianmarco Migliorati, ai fisioterapisti o a qualche giocatrice, ma a tutti capita di osservare quella classifica che segna, con ancora 9 punti da assegnare, più 13 sulla Juventus seconda, più 24 sul Milan terzo, un solco che neanche l’armata bianconera dell’era Guarino aveva mai scavato. Ma davvero l’abbiamo fatto?, sembrano chiedersi. La Roma femminile ha vinto il primo scudetto della sua storia, lo ha fatto dominando la stagione zero della nuova era del professionismo per le donne, chiudendo con grande anticipo il primo campionato disegnato con la nuova formula della doppia poule. Tante prime volte tutte insieme, celebrate sabato scorso contro un’ottima Fiorentina al Tre Fontane, tana, culla e casa delle ragazze giallorosse. Sei punti lasciati per strada in tutta la stagione e a un’unica avversaria, la Juventus, che proprio grazie ai due scontri diretti vinti aveva attutito l’effetto dei troppi pareggi rimanendo aggrappata all’ambizione di conquistare il sesto scudetto consecutivo. Fatta eccezione per la partita di Vinovo a metà settembre, persa uno a zero, la Roma ha sempre segnato almeno un gol, subendone in tutta l’annata appena 18.

 

Un cammino senza mai voltarsi indietro, per raggiungere i risultati in campo prima e la consapevolezza di non potersi relegare a un ruolo di inseguitrice eterna poi. Ecco la consacrazione, quella del primo scontro diretto con la Juventus vinto in campionato dopo 9 tentativi falliti, lo scorso 22 aprile, che aldilà del definitivo allungo ha messo in testa alle giallorosse l’idea di aver finalmente chiuso il cerchio. Una tentazione figlia della scorsa estate, forse nel momento più frustrante, uno scudetto andato ancora alla Juve, così come una Coppa Italia persa sul campo e col rimpianto, eppure proprio allora sale la consapevolezza di poter davvero colmare quel gap, come quando percepisci qualcosa che ancora non vedi ma sai che in fondo già c’è. Questione di dettagli, che spesso non sono l’essenziale, ma fanno comunque la differenza. Per azzerare quella distanza c’è voluto un mix di programmazione, professionalità e partecipazione collettiva. A fare da dolce collante, Betty Bavagnoli, solido pilastro a garanzia di un progetto che dalla scrivania al campo non ha mai conosciuto brusche frenate. Per costruire una mentalità anche di respiro internazionale che non durasse lo spazio di un sogno, la responsabile dell’intero settore femminile, che pure aveva battezzato la prima Roma guidando per 76 volte le giallorosse dalla panchina, non ha indugiato a lasciare ad altri la luce dei riflettori. Ha scelto un allenatore che lei stessa aveva presentato, nel giugno del 2021, come un tecnico giovane ma già con le giuste ambizioni.

 

L’alchimista si chiama Alessandro Spugna, nato a Torino, una carriera da giocatore prima e da allenatore poi, spesa quasi tutta sopra il Po, che di Roma ha assorbito la magia senza mai perdere l’equilibrio, travolto ma mai stravolto anche quando l’asticella si è ulteriormente alzata, e a un campionato da provare a vincere si è affiancata una Champions da conquistare e poi giocare. Due turni di qualificazione e poi gironi e quarti, ceduti con gloria al Barcellona. Proprio Barça e Wolfsburg, che la Roma ha trovato sul suo cammino europeo, si giocheranno una finale che per tutto il nostro calcio resta ancora un obiettivo lontano. La meta è dunque partire, come mostra il progetto Roma, fin dalla scalinata di Piazza di Spagna, scesa con timore nel 2018 per presentarsi ai tifosi, in una città già saturata dalla passione per il calcio. Un progetto che delle ambizioni della Juve, partita prima e con numeri da schiacciasassi, aveva solo linee tratteggiate.

 

Adesso che il traguardo è tagliato ci si può dedicare anche ai singoli. Gli occhi della festa sono tutti sgranati e luccicanti, ma ogni storia porta con sé un orgoglio diverso. Quello di chi c’era quando tutto doveva ancora iniziare, capitan Bartoli, Greggi e Serturini, con sulla pelle i segni della montagna da scalare e poi scalata. L’orgoglio altrettanto fiero di chi si è aggiunto in corsa, portando con sé il proprio carico. I tredici gol di Valentina Giacinti, bomber copertina di una Roma mai così prolifica, consacrando anche sul campo la stagione di una giocatrice che al Milan aveva prima preso e poi perso la fascia di capitano e il senso di tante cose, per poi ritrovarlo a Roma portando qualità e disponibilità nel gioco.

 

A Roma hanno vinto davvero tutte, la brasiliana Andressa ritrovata nel talento mai messo in discussione, l’austriaca Wenninger, che dopo una carriera epica al Bayern Monaco poteva venire a svernare nella Capitale e invece dalla Capitale si è fatta catturare il cuore, fino alla gentile Minami, giapponese di Yoshikawa, catapultata nella città eterna senza molte parole, zero in italiano, una manciata in inglese, su una fascia, quella sinistra, che per un difensore centrale di piede destro non è certo una comfort zone. Nessuna si è sottratta al sogno dell’impresa, ancor più prestigiosa perché il trono, per un quinquennio, era a tinte forti e bianconere. Proprio dal testa a testa tra la Roma americana dei Friedkin e la Juventus, che sono il miglior traino per un movimento in continua espansione, si ricomincerà, con le giallorosse che non vogliono fermarsi e sognano il Triplete nazionale: Supercoppa, già in bacheca da novembre, campionato appena conquistato e ora la Coppa Italia. L'appuntamento con la storia è per il 4 giugno allo stadio Arechi di Salerno. Poco più di un mese dopo toccherà alla Nazionale di Milena Bertolini raccogliere i frutti di una stagione intensa giocandosi un altro Mondiale dopo i quarti raggiunti quattro anni fa In Francia.

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