Foto Ap, via LaPresse

sport e religione

Ramadan e sport. Cherif Traorè e Massimo Stano ci spiegano come il digiuno non sia un problema insormontabile

Alessandro Ferri

"In questo mese ho fatto allenamenti meno pesanti durante le ore di sole e ho lasciato quelli dispendiosi per la sera", dice il pilone della Benetton e della nazionale italiana di rugby. "All’inizio pensavo che il digiuno fosse praticamente impossibile. Mi ha dato la forza di credere nel fatto che con l’impegno giusto si potevano raggiungere grandi obiettivi", sottolinea il marciatore

Quando finisce il Ramadan, il mese sacro di digiuno diurno per i musulmani, si organizza una festa in cui tornare a mangiare e bene insieme, celebrando i giorni duri di espiazione dei propri peccati e di riflessioni sul rapporto che i fedeli hanno con Allah, seguendo i precetti del profeta Maometto. Tra le categorie di persone che risentono particolarmente del digiuno e dell’astensione totale dall’assunzione di liquidi dopo l’alba e prima del tramonto, ci sono gli sportivi. Allenarsi, giocare, disputare gare durante un periodo che mette alla prova la tenuta fisica e spirituale non è sicuramente facile e chiama forse a uno sforzo forse superiore a quello delle “persone comuni”.

 

"Sono giorni molto difficili – dice Cherif Traorè, pilone della Benetton Treviso e della nazionale italiana di rugby -, perché se lo fai devi essere costante e rispettoso. Io mi sveglio la mattina intorno alle 4 per fare colazione e prendere la bevanda proteica, poi mi rimetto a dormire. Quando mi sveglio ho la routine classica di tutti gli altri periodi dell’anno, quindi mi alleno tra palestra e campo". Traorè è nato nel 1994 a Kindia, in Guinea, poi si è trasferito con tutta la sua famiglia in Italia. È quindi cresciuto in una famiglia tradizionalmente musulmana che ha sempre rispettato il Ramadan.

   

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Massimo Stano, medaglia d’oro alle Olimpiadi di Tokyo nella 20km di marcia e campione del mondo in carica, si è convertito nel 2016, quindi ha dovuto fare i conti con la durezza di una pratica religiosa a cui non era abituato. "Mi sono convertito nel mese di giugno – racconta -, quell’anno il Ramadan cadeva ad agosto ed è stato molto duro. Non mi allenavo perché ero infortunato, quindi non so se riuscirei a interromperlo per il caldo (seguendo le dispense che qualche imam dà agli atleti, ndr.). Tendenzialmente penso che se ti fidi di Allah fai il Ramadan e lui ti restituisce qualcosa, ma devi trovarti in quella situazione per poter decidere".

     

Stano dice di aver trovato un grande giovamento da quando ha abbracciato la religione islamica, ormai quasi sette anni fa: "All’inizio pensavo che il digiuno fosse praticamente impossibile, anche solo per un fatto culturale. Poi però ho visto che potevo farcela e questo mi ha dato la forza di credere nel fatto che con l’impegno giusto si potevano raggiungere grandi obiettivi. Non mangiare e non bere non è facile, ma non lo è nemmeno vincere un oro olimpico e un mondiale. Secondo me nei miei successi un po’ di zampino dell’Islam c’è".

   

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Traoré invece fa del Ramadan un quadro intimamente spirituale, che supera le prestazioni sportive. "La religione ti dona conforto – spiega – Quando segui un periodo così lungo di riflessione, sai che stai facendo una cosa che ti avvicina ad Allah, ma soprattutto sai che ti purifichi attraverso la privazione di cibo e acqua. Però è una cosa che fai con piacere, senza mai concederti momenti di esitazione, anche se è difficile quando vedi che tutti intorno a te mangiano e bevono, o quando sai che nel frigorifero c’è di tutto". E aggiunge: "In questo mese ho fatto allenamenti meno pesanti durante le ore di sole e ho lasciato quelli dispendiosi per la sera. Certo, soprattutto non poter bere è una difficoltà enorme, ma è come se mi stessi allenando con un sovraccarico, quindi ora che è finito il Ramadan mi allenerò in scioltezza, mi sembrerà di volare". 

 

La fine del Ramadan, “Eid al-Fitr”, è l’occasione che le famiglie musulmane hanno per rivedersi e festeggiare insieme. Sia Traorè che Stano lo paragonano alla Pasqua cristiana. "Proprio come i cristiani – racconta il rugbista -, stiamo a casa e mangiamo agnello e pietanze sostanziose. È bello perché con i miei familiari veniamo tutti da un digiuno così lungo, quindi abbiamo voglia di chiacchierare e stare a casa".

 

Per il marciatore è invece diverso: "Ora vivo a Roma e tutti i miei cari sono al nord, quindi sì, sicuramente mangerò qualcosa in più, ma non potrò stare con loro. Mi manca quel momento conviviale che è molto simile alla Pasqua, ma loro sanno quanto gli allenamenti sono importanti per me, soprattutto perché abbiamo i Mondiali ad agosto: questo è un periodo della stagione troppo importante".

   

La marcia e il rugby sono sport diversi anche per il fatto che uno è forse la quintessenza dell’individualità, mentre l’altro è uno degli sport di squadra più aggregativi al mondo.

 

"Tra i miei compagni solo io faccio il Ramadan – confessa Traorè – Una volta c’era anche Monty Ioane, che faceva tanta fatica. Ora lui è andato a giocare in Australia e sono rimasto solo io, ma trovo comunque dentro di me la forza per non cedere mai e per aspettare sempre il tramonto per tornare a mangiare e bere".

 

"Questo periodo è importantissimo per i musulmani. Sono contento della scelta di convertirmi", dice Stano. "Ancora non sono stato a La Mecca, ma devo andare perché è uno dei cinque pilastri dell’Islam. I miei parenti acquisiti mi hanno detto che è un’esperienza unica, ma visto che anche mia moglie ancora non ci è stata, voglio rendere il pellegrinaggio un’esperienza importante per entrambi".

 

Anche Traorè non ci è ancora stato: "Ho sentito chi già è andato e ho visto i video, è una cosa incredibile vedere milioni di persone riunite nello stesso posto. C’è gente che va lì quando è in punto di morte, perché morire a La Mecca è una delle cose più sacre che esistano. Non vedo l’ora di andarci per dare un senso in più al mio rapporto con la fede, in un luogo in cui tutti, dal più ricco al più povero, fanno le stesse cose e vivono le stesse emozioni".

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