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Il Foglio sportivo

In Nba ora il gioco si fa finalmente duro: via ai playoff

Roberto Gotta

Nuovo record di pubblico da festeggiare, ma costi da tagliare. Come sta il basket americano ora che inizia la parte più interessante della stagione

Playoff Nba, i due mesi più frenetici dello sport americano, quelli in cui sembra che venga premuto il tasto del fast forward rispetto a tutto quello che è avvenuto prima. È l’effetto della programmazione, non casuale, dell’intreccio tra leghe: la Nba parte relativamente nel silenzio, comincia a emergere dal letargo verso fine febbraio e diventa luce una volte terminata la stagione del basket universitario, che assorbe l’interesse di una nazione non per la qualità del gioco ma per la diffusione in ogni angolo d’America, come non capita per lo sport professionistico. Curioso però che proprio nelle ore in cui si giocava la novità degli ultimi anni, ovvero il mini-torneo play-in per promuovere al tabellone principale le ultime due squadre, la Nba abbia vissuto stati d’animo molto differenti: la soddisfazione per il nuovo record complessivo di pubblico e di tutto esaurito, ampiamente pubblicizzato, e la preoccupazione per l’aumento dei costi, tenuta nascosta fino a che una fuga di notizie non ha rivelato una disposizione interna, redatta dal responsabile finanziario David Haber e da uno dei dirigenti, Kyle Cavanaugh, con l’invito a ridurre le spese, effettuare meno trasferte e frenare drasticamente le nuove assunzioni per il resto dell’anno fiscale, che si chiuderà a fine ottobre. Fuggiti i buoi, un portavoce della Nba ha ammesso che si tratta di procedura non inusuale in un momento in cui aziende di ogni tipo stanno cercando di tagliare le spese, ma la contrapposizione tra trionfalismo per i record di pubblico e timori sul piano finanziario apre una finestra particolare. Soprattutto perché il nuovo contratto collettivo di lavoro, concordato verbalmente tra Lega e rappresentanti dei giocatori con approvazione definitiva attesa a breve, garantendo stabilità per almeno sei anni porterà inevitabilmente a contratti televisivi di maggiore entità, proprio come accaduto nella Nfl.

 

Ok, i playoff, allora. Chi vince?

 

Impossibile saperlo. In passato la Nba ci aveva abituato a una dolorosa prevedibilità, per la scientificità con la quale le squadre migliori ottenevano i risultati migliori, grazie alla lunghezza delle serie che inevitabilmente facevano emergere talento e preparazione. Finali più o meno scontate, specialmente nel periodo del dualismo Cleveland-Golden State, ma stavolta la nebbia è più fitta del solito, specialmente nella Western Conference, dove per la prima volta dal 1978-79 nessuna squadra ha avuto almeno il 65 per cento di vittorie. La migliore è stata Denver, candidata a festeggiare Nikola Jokic per il suo terzo titolo consecutivo di Mvp, ma Jokic ha un piccolo problema al polpaccio e in più i playoff, nei quali la loro prima avversaria è stata determinata solo la notte scorsa nello spareggio tra Oklahoma City e Minnesota, arrivano nel momento giusto per… Phoenix, che ha vinto otto partite in meno, ma non ha mai perso (8-0) quando ha utilizzato Kevin Durant. KD, 34enne ma dotato ancora di un discreto ardore agonistico, è arrivato a inizio febbraio ma è sceso in campo solo l’1 marzo, dovendosi riprendere da un infortunio. E in quelle otto partite ha avuto statistiche eccellenti (26 punti di media), chiudendo la stagione con numeri che mai nessuno aveva avuto tutti assieme: almeno il 55 per cento al tiro, il 40 da tre e il 90 nei liberi. In una lega con metà campo a elastico, con un’infinità di tiri da tre e attacchi al canestro, un tiratore dalla media distanza come lui (57,2 per cento da due in conclusioni non effettuate nell’area dei 3”) può fare la differenza pur partendo da una posizione di tabellone scomoda, contro i Los Angeles Clippers che come altre a ovest hanno migliorato alcuni fondamentali dati di rendimento nell’ultimo mese. Non è però saggio ignorare la presenza di LeBron James, fanaticamente determinato a scavare ancora di più in profondità le fondamenta del proprio status nella storia del basket: se stanno bene, lui e Anthony Davis possono superare, pur da numero 7 del tabellone, i Memphis Grizzlies, che sono i numeri 2, ma non avranno un diavolo di energia come Brandon Clarke e il centro Steven Adams, fuori ormai da fine gennaio. Sempre a ovest, i Sacramento Kings hanno chiuso il periodo di assenza ai playoff più lungo dello sport pro, 2006-2022, arrivandoci ora oltretutto da numero 3, ma la sfida contro Golden State non pare delle più favorevoli per una squadra che fatica in difesa. 

 

Nella Eastern Conference sembrano esserci meno zone d’ombra: Milwaukee numero 1, ma Boston, che ha gestito brillantemente il turbolento cambio di panchina avvenuto poche settimane prima del via con l’arrivo di Joe Mazzulla producendo una stagione di altissimo livello, è decisamente in grado di vincere la conference, a partire dal primo turno contro Atlanta, per la profondità di organico, la versatilità e la possibilità di mescolare i quintetti producendo difesa e attacco in misure molto simili. I Bucks, attesi dalla vincente dello spareggio tra Chicago e Miami della notte scorsa, hanno una struttura solidissima e un Giannis Antetokounmpo che svelando il proprio disagio psicologico di alcuni anni fa lo ha definitivamente esorcizzato e si è dunque preparato nella maniera migliore a questi playoff. La serie più intrigante pare quella tra Cleveland Cavs e New York Knicks (4 e 5 del tabellone): durezza, difesa, talento e ambienti, a New York e Cleveland, molto curiosi. È tra l’altro la prima volta dal… 1998 che i Cavs giocano i playoff senza avere James in organico, altro mattone della cattedrale di eredità statistica ed emotiva che LeBron lascia. La serie con maggiori prospettive per la vincitrice dovrebbe però essere quella tra Philadelphia e New Jersey: a patto che sia Phila, nettamente superiore. In tutto questo, va ancora assorbita l’assenza dei Dallas Mavs di un idolo globale come Luka Doncic, vittime di se stessi e di una malata e disordinata voglia di perdere più partite possibili per entrare con maggiori probabilità nel sorteggio del draft e magari ottenere il primo posto e l’ambitissimo Victor Wembanyama: regalando le ultime due gare però si sono giocati un potenziale posto ai playoff guadagnando solo, per il draft, un 1,2 per cento di possibilità. Capirai. 

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