Il Foglio sportivo
Il nuovo Cassano è come il vecchio: si fa male da solo
Antonio non fa calcoli, è istinto primitivo: ecco perché si trasforma in macchietta anche se fa osservazioni sensate
Nell’Amazzonia ecuadoriana gli individui vengono classificati in due categorie che evocano i riflessi e gli odori di una realtà primitiva e ancestrale. Sono runa oppure runa puma. I primi sono le persone come le immaginiamo; i secondi sono gli umani-giaguaro, uomini predatori che conservano gli istinti delle nostra sostanza animale. Osservano e interpretano la realtà esattamente come la osserva una fiera che viva nella foresta. Antonio Cassano è per certi versi un runa puma.
L’Ecuador è lontano da Bari vecchia eppure le strade in cui è cresciuto hanno cristallizzato in lui una dimensione istintiva costantemente accesa capace di ingombrare tutto il resto. La sua storia, la sua carriera, la sua nomea, non sono che le dirette conseguenze di una persona che coincide alla perfezione con il personaggio istrionico e ribelle, e di un rapporto invertito tra pensiero e azione. Antonio Cassano è del tutto trasparente, si potrebbe dire autentico nella sfumatura più originale dell’aggettivo ripulita dal buonismo che ha afflitto quella bella parola. Un ritratto caratteriale che sembra perfetto per vivere all’interno della Bobo Tv – il canale Twitch (ripubblicato su YouTube) nato con Christian Vieri per prolungare l’involontario successo delle sue lunghe videochiamate con ex calciatori professionisti che ai tempi del lockdown rendeva pubbliche in diretta sui social – e per esprimere opinioni colorite e trancianti sull’attualità calcistica che proprio per la loro natura sopra le righe riscuotono un enorme successo di visibilità.
“Io non credo Antonio che tu sia mai stato maleducato nell’esprimere le tue idee, semmai scurrile”, gli diceva l’altro giorno in diretta sul canale Lele Adani. La questione era la risposta che José Mourinho aveva dato a Cassano in conferenza stampa per rispondere alle critiche che il barese aveva espresso al suo gioco. “La Roma come gioca? Non lo so”, aveva detto. “Hai mai avuto un’idea delle squadre di Mourinho? No”. Il portoghese, a differenza dei molti altri allenatori e calciatori oggetto delle caustiche uscite di Cassano che avevano preferito glissare, non si è tirato indietro. Ha cominciato confrontando le bacheche dei trofei vinti da lui e da Cassano con Inter, Real Madrid e Roma – club da cui entrambi sono passati – ha proseguito con lo sbeffeggio. “A Madrid si ricordano di lui solo per la giacca”. Il riferimento è alla giacca beige a costine, con il colletto ricoperto da una vistosa pelliccia, che aveva sfoggiato il giorno della presentazione al Bernabeu, nel 2006. “Mourinho si dimentica che avevo anche due orecchini grandi così, due orologi, anelli, dei capelli inguardabili”. E non sono nemmeno queste le cose peggiori di se stesso a Madrid, secondo Cassano. “Mi chiamavano il gordito, ero grasso. Ma ero lì a 23 anni perché ero un fenomeno”.
Un cortocircuito dialettico in cui la sua autenticità smaschera anche se stesso allo stesso modo di come la sua istintività lo ha sempre danneggiato facendogli fare figuracce e screditandolo agli occhi di allenatori, presidenti e tifosi. Sul gioco di Mourinho, nel merito, non ha detto nulla di così assurdo. Non dice nulla di assurdo nemmeno sulle partite, le squadre, i giocatori che commenta. Tutt’altro. Ma come sempre è stato con Cassano, come sempre è con i runa puma, tutto è crudo, grezzo, forte. Inutile illudersi di poter dare razionalità a chi è puro istinto. “Sono stato un folle, una testa di cazzo. Ho mancato di rispetto a tanti compagni, a tanti allenatori, a tanti presidenti. Ma ho sempre avuto una faccia sola”. Te le sbatte in faccia senza prosa, regalando agli spettatori la golosa sensazione di stare chiacchierando con un amico professionista che ti svela il dietro le quinte e il suo pensiero senza chissà quali premure di forma e cortesia.
“Ha ragione, io non ho vinto. A me piaceva di più giocare bene che vincere”. A modo suo, una pura devozione per il gioco sdegnosa verso la fredda ricerca del risultato. La sua carriera, probabilmente la sua vita, sono la dimostrazione che non è bravo a fare troppi calcoli, essere cinico, altrimenti non avrebbe mai scialacquato un patrimonio di talento che forse non più di altri sette in Italia hanno ricevuto dalla natura negli ultimi trent’anni. In modi diversi lo stesso approccio di Maradona o di Guardiola che hanno usato l’amore per il calcio per vendere l’anima a un popolo o a un’ideologia finendo per vincere meno di quel che avrebbero potuto optando a volte per un maggiore cinismo. Ma lui finisce sempre per dirlo a modo suo. “Mourinho, tutti i tuoi trofei sai dove te li devi mettere?”.
Il risultato è che finisce per essere un meme, che rischia di condannarsi al ruolo di macchietta. Che le visioni spesso interessanti che ha sul calcio passino in secondo piano e perdano credibilità. Gli si crede quando dice di non avere nulla contro l’uomo José ma di essere molto critico – lo ammette, forse esagerando – con l’allenatore Mourinho. E fa quasi tenerezza di fronte a una machiavellica belva mediatica come il portoghese che – ha ragione Adani – sposta sempre il confronto dal piano calcistico a quello personale e che ha come regola quella di trasformare le scintille in incendi e i diverbi in guerre.
Cassano è opinionista fisico, da ring. Per le sue dirette su Twitch indossa le sue enormi cuffie da gamer come se indossasse dei guantoni. Eppure non c’è la voglia fare a botte, di gettare fango su altri. C’è solo l’inesauribile bisogno di offrire spettacolo al pubblico. Di trovare dimensioni in cui la sua incapacità di contare fino a dieci non gli causi problemi e anzi lo porti a essere amato. Al centro della scena circondato da spettatori che aspettano un suo colpo. Ovunque per lui è stato così, per lo meno finché è durata.