Le proteste dei tifosi del Napoli durante la partita con il Milan (Ansa)

Il Foglio sportivo - Il ritratto di Bonanza

Togliamo il lavoro agli ultras

Alessandro Bonan

Quello del tifoso della curva sta diventando un'occupazione a tempo pieno: spaccio, merchandising, contraffazione. Liberiamo gli stadi dai violenti

Verrebbe voglia di cambiare mestiere. Si, perché quello del tifoso della curva sta diventando (lo è da un bel po’) un lavoro. Spaccio, merchandising, contraffazione, bagarinaggio, che fatica fare l’ultras. Svegliarsi presto (anche le 10 quando la squadra gioca a mezzogiorno), andare allo stadio, minacciare qualcuno dalla faccia strana capitato lì per caso, infilarsi nella Wall Street degli affari curvaioli e, tra un coro e l’altro (questi cori sempre uguali, ossessivi, insopportabili), liberare ogni istinto. Dal comportamento razzista, che forse nemmeno sanno cosa significhi, all’esercizio del potere coercitivo, con annessa strategia del ricatto. Vittime, tutti. Le società, più o meno consapevoli e deboli, lasciate da sole a combattere il fenomeno, e tutti gli altri che amano il calcio e che magari vorrebbero portare un figlio, una moglie, un nipote in curva senza rischiare di venire travolti dall’onda della violenza, anche solo verbale. La battaglia di De Laurentiis contro gli ultras napoletani si fonda più o meno su questi principi e speriamo conduca a risultati concreti. Al di là di certi eccessi cinematografici (De Laurentiis spesso dice cose che noi umani…), a De Laurentiis non va giù il ricatto: se ci dai quello che chiediamo ti vogliamo bene, altrimenti spacchiamo tutto. Scusate la sintesi, in queste poche righe si fanno anche feriti innocenti che magari vivono l’aggregazione in maniera genuina.

 

Chi vi scrive frequentava le curve, e sa come è cambiata la storia. Negli anni Settanta, comparvero i fumogeni, c’erano le opposte fazioni vicine, in quanto non esistevano i settori per gli ospiti. Qualche piccolo incidente, niente di più. Poi l’escalation: dal razzo che ha ucciso Paparelli, datato 28 ottobre 1979, all’omicidio Spagnolo, 29 gennaio 1995. Passando dalla morte dell’ispettore capo di Polizia Filippo Raciti (2 febbraio 2007), che potremmo genericamente definire una vittima della follia ultras. E poi Gabriele Sandri e Ciro Esposito. Fino all’ultras del Varese, Daniele Belardinelli, schiacciato da un Suv durante gli scontri fuori da San Siro. Era il 26 dicembre del 2018. Tralasciando colpevolmente molte altre vittime di situazioni più o meno simili. Violenze di stadio e dintorni ma comunque violenze legate a un preciso mondo.

 

Quello che gli inglesi hanno combattuto e poi sconfitto estirpando gli Hooligans dal calcio. La Premier League di oggi, con i suoi colori, la sua gente a un metro dal campo, nessuna barriera, i cori suggestivi (citazioni spesso magnifiche di grandi della musica), le poltroncine comode per tutti. Come hanno fatto? Da noi gli stadi fanno schifo, dicono, vanno rifatti. Molto giusto. Ma cominciamo a ragionare su come togliere uno spazio vitale ai violenti. Liberiamo le curve, mettiamoci i bambini, e i cori inventiamoceli da soli che magari sono anche più belli. Il tifo è una passione, non un lavoro, per di più svolto con il metodo, anzi l’attitudine della sopraffazione.

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