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Il Foglio sportivo - storie di storie

Sull'isola di Gianni Minà

Mauro Berruto

Tre libri per ripercorrere la storia giornalistica e sportiva di Gianni Minà e le sue tre stelle polari: lo stupore, la curiosità e la libertà

Bisognerebbe sempre tentare di esprimere il proprio stupore per la vita e per la sua bellezza, così nessuno sarà disposto a farselo togliere” scriveva Gianni Minà, parlando di se stesso, del suo stupore per la politica, per la musica, soprattutto di quel suo stupore per lo sport come fatto sociale totale, come strumento per alzare lo sguardo sul mondo, con un’unica condizione: la libertà. “Ci sono persone che non hanno il cartellino del prezzo appeso sopra”, diceva Raymond Chandler e Gianni Minà era una di loro che proprio per questo motivo venne fatto fuori dalla Rai. Lo raccontava come un fatto, da giornalista, quasi senza l’amarezza del coinvolgimento personale. Questo è tanto altro della vita di questo supereroe della narrazione, perfino difficile da identificare in una sola casella professionale (forse gli sarebbe piaciuto “documentarista”), è raccontato in Gianni Minà, Storia di un boxeur latino (Minimum Fax, 2020). Lui partito da quella Torino che ha tanto amato (e dove si è innamorato fino a perdere la testa per il Toro, squadra che per tante ragioni gli era affine) per diventare un eroe omerico, viaggiatore del mondo, seguendo tre stelle polari: lo stupore, la curiosità e la libertà.

 

Questa rubrica non ha mai contravvenuto alla regola di far dialogare due libri, ma la prima eccezione la riserviamo a Gianni Minà, perché è impossibile scegliere fra i suoi tributi alle più grandi stelle ribelli del firmamento sportivo: Muhammad Ali e Diego Armando Maradona. 

 

Gianni Minà, Il mio Muhammad Alì (Rizzoli, 2014) è la raccolta, amorevolmente curata dalla moglie, la regista Loredana Macchietti, di una lunga serie di articoli che raccontano da vicinissimo il più grande boxeur di tutti i tempi. Ali voleva bene a Minà e Gianni gli restituiva il favore di raccontarlo con maestria, nei suoi momenti più gloriosi come in quelli della sconfitta, contro gli avversari o contro il tempo. Perché, se è vero come dice nella prefazione Mina (senza l’accento, perché Minà è stato capace di affidare l’inizio del libro proprio alla famosa cantante) che “Ali non faceva a cazzotti, lui esprimeva il massimo dello splendore, della poesia, della nobiltà”, Gianni Minà è stato capace di raccontare anche le sue fragilità, le sue sconfitte, la sua battaglia contro il tempo che, inesorabile, passa anche per le leggende. Minà, capace di correre nello spogliatoio per essere il primo a raccogliere la testimonianza di Muhammad Ali a Kinshasa, trionfatore nel combattimento più famoso della storia, anni dopo, gli avrebbe pulito con un tovagliolo l’angolo della bocca, nel soggiorno di casa, dove lo aveva invitato a cena, debole e tremante per il Parkinson. Alì voleva bene a Minà, forse perché Gianni aveva capito e raccontato il suo bisogno di non essere solo un pugile.

 

Probabilmente è successa la stessa cosa anche a Diego Armando Maradona protagonista di Gianni Minà, Non sarò mai un uomo comune (Minimum Fax, 2021). Non era solo un calciatore, El Diez, e forse nessuno lo ha descritto bene come Minà, il cui capolavoro è stato quello di saper raccontare i più grandi, ma sempre schierato dalla parte degli ultimi.  Questo libro, anche in questo caso un’antologia di articoli di Minà, racconta l’ascesa, lo splendore, le polemiche e anche il momento un cui tutto crolla di un altro eroe picaresco prestato allo sport. 

 

Minà se ne è andato il 27 marzo scorso; il suo nome, Gianni, era una garanzia per chi ha raccontato la storia dello sport del Novecento. Adesso, lassù, c’è un pantheon al completo: Gianni Brera, Gianni Mura, Gianni Clerici, Gianni Minà. Resta, di un uomo incredibile, solo la memoria che lui descriveva così: “La forma della memoria non somiglia a una città, ma a un’isola. La mia isola l’ho sempre cercata da qualche parte. Sempre, in qualsiasi posto mi sia trovato, sono partito per un altro. Curiosità o inquietudine, non so. È stato il mio modo di lavorare, o di vivere. Abbandonare le cose poco prima che finiscano e correre dove sta per nascere qualcosa di più interessante”. Buon viaggio, Gianni. Trovala, quell’isola, e riposa in pace. A noi, citando quel Galeano che tanto amavi, “rimane dentro quella malinconia che c’è solo dopo l’amore e alla fine di una partita di calcio”. 

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