Foto di Alexei Babushkin, Sputnik, Kremlin Pool Photo, via AP, via LaPresse 

L'editoriale del direttore

I Giochi e Wimbledon: fottere Putin con lo sport

Claudio Cerasa

Vedere un russo disposto a rinunciare alla propria appartenenza per essere libero di gareggiare è uno schiaffo al putinismo. Per combattere i macellai servono sanzioni e armi, non boicottare i passaporti

Ci sono ottime ragioni per considerare sbagliata la scelta del Cio di far partecipare gli atleti russi alle prossime Olimpiadi ma nessuna di queste ragioni è più forte rispetto all’affermazione di un principio universale che merita di essere rispettato anche in tempi di guerra e che vale non solo in ambito sportivo. E il principio è semplice: non discriminare i russi sulla base della loro nazionalità, della loro appartenenza, del loro passaporto.

Il Cio, il Comitato olimpico internazionale, pochi giorni fa, creando molte polemiche, ha scelto di rompere un tabù e dopo aver escluso per un anno gli atleti russi (e quelli bielorussi) dai principali eventi sportivi, dopo l’invasione dell’Ucraina, ha raccomandato alle federazioni delle diverse discipline il reinserimento degli atleti russi (non delle squadre) a patto che il reinserimento avvenga a titolo individuale, senza bandiera, e a patto che gli atleti non siano sotto contratto con l’esercito o le agenzie di sicurezza (alle Olimpiadi di Tokyo, la Russia ha vinto 71 medaglie, 45 di queste sono state vinte da atleti tesserati con il Central Sport Club dell’esercito russo).

Le obiezioni a questa decisione sono legittime e non sfugge quanto sia difficile immaginare che gli atleti  russi e bielorussi, spesso finanziati e sostenuti direttamente dai loro stati, possano competere in modo neutrale. Così come non sfugge il rischio di trasformare le Olimpiadi in un’occasione per considerare involontariamente la Russia guidata da un dittatore sanguinario uno stato meno paria rispetto a oggi.

Eppure l’idea che a nessun atleta, come giustamente dice il Cio e come dice ora giustamente anche l’organizzazione di Wimbledon, che proprio ieri, contrariamente a quanto stabilito nel 2022, ha annunciato di essere pronta ad aprire il suo tabellone ai tennisti russi e bielorussi a condizione che gli atleti gareggino anche qui senza bandiera, dovrebbe essere impedito di competere solo a causa del proprio passaporto è un’idea che vive di pari passo con princìpi pericolosi come possono essere quelli che abbiamo visto affiorare negli ultimi tempi: chiedere la sostituzione degli spettacoli russi dai teatri, promuovere la rimozione dei registi russi dai palcoscenici, sostenere la cancellazione delle retrospettive degli artisti russi dai musei, avallare la cancellazione degli studi russi dalle università, offrendo così ragioni del tutto evitabili per consentire al regime russo di soffiare sul fuoco ridicolo del vittimismo universale.

La resistenza contro la Russia non la si alimenta cancellando i russi dalla circolazione, cancellandoli dal mondo, ma la si combatte continuando a fare tutto quello che i difensori dell’Ucraina hanno scelto di fare con coraggio negli ultimi mesi per aggredire, al cuore, un regime sanguinario come quello putiniano. La resistenza contro la Russia la si alimenta continuando a rifornire di armi l’esercito ucraino, nelle cui file militano molti atleti olimpici alcuni dei quali in questi mesi hanno perso la vita al fronte (circa 200), e la si alimenta continuando a promuovere sanzioni su sanzioni, che come è evidente fanno decisamente più male a chi le riceve rispetto a chi le sostiene (nelle stesse ore in cui l’inflazione in Europa continua a calare, nelle stesse ore in cui le bollette energetiche continuano a crollare, Vladimir Putin fa sapere di essere preoccupato per l’effetto che potrebbero avere le sanzioni occidentali sulla Russia e il presidente bielorusso, Aljaksandr Lukashenka, sceglie improvvisamente di proporre una tregua immediata, mostrando forse involontariamente le preoccupazioni degli amici della Russia rispetto al protrarsi del conflitto).

Non c’è bisogno di boicottare i russi per boicottare la Russia di Putin, non sarà certo la cancellazione degli atleti russi dalla faccia della terra a bloccare la propaganda putiniana e se ci si riflette un istante è in fondo una sberla niente male all’orgoglio nazionalista russo vedere un atleta russo disposto a rinunciare alla propria bandiera per non perdere contatto con un mondo libero (le prossime Olimpiadi saranno in Francia) che ogni giorno offre buone ragioni per rimarcare che differenza c’è tra vivere in una democrazia e vivere in una dittatura.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.