Valentina Diouf in una foto d'archivio (Ansa)

Il Foglio sportivo

Le battaglie oltre il volley di Valentina Diouf

Eleonora Cozzari

"Combatto da sempre contro bullismo, razzismo e molestie. E a Paola Egonu dico che...". Parla l'opposto della LKS Commercecon Lodz

Ha giocato in tre continenti diversi, si è esposta prima che esporsi diventasse di moda e dalle scale di Sanremo è scesa anche lei, una delle tre pallavoliste nella storia del Festival. Valentina Diouf, milanese, trent’anni appena compiuti, oggi gioca a Lodz e, in sostanza, ha fatto tutto prima. Solo che con la memoria a farci costantemente difetto, ce ne siamo scordati. “Forse perché se togliamo la parentesi di Perugia sono cinque anni che gioco fuori dall’Italia. Un anno in Brasile, due in Corea e questa è la seconda stagione in Polonia”. Dove è arrivata lo scorso anno dopo aver rescisso il contratto con Perugia, appunto. “Non mi era mai capitato in tanti anni di carriera di non portare a termine una stagione e ci ho rimesso dei soldi, ma a farmi togliere il sorriso io non ci sto”. 

 

La storia di Valentina è decisamente singolare. La sua fama di giocatrice subisce una repentina impennata nel 2014, durante il Mondiale organizzato in Italia. “Sono diventata di colpo la paladina dell’Italia che cambiava, io la prima mulatta a indossare la maglia azzurra di volley. E questo messaggio positivo legato alla mia immagine mi è sempre piaciuto: io per davvero sono figlia della multiculturalità, perché mia madre è italiana e mio padre senegalese (viveva da anni a New York ed è venuto a mancare da poco, ndr)”...  “Ma in quel Mondiale non ero l’opposto titolare, entravo quando e dove serviva. Questo per dire che la popolarità è stata improvvisa”. Ma complici alcune prestazioni superlative unite alla sua indiscutibile diversità, il suo viso entra negli schermi televisivi degli italiani. “Andare in tv era la cosa più facile rispetto all’odio che generavo. Ma in quel periodo mi invitavano tutti: da Fabio Fazio a Zelig, da SportMediaset a Cattelan. E poi addirittura ospite a Ballarò, dove non c’era mai andato nessuno”. Lato pallavolo intende. All’epoca conduceva Massimo Giannini e Diouf parlò di razzismo senza mezzi termini. Per questo, oggi, può permettersi di essere critica sulle uscite di Paola Egonu a riguardo: “Perché dà ai suoi detrattori tutti i motivi possibili per essere strumentalizzata, proprio glieli serve su un piatto d’argento. Il razzismo non si combatte con il vittimismo, con la polemica costante. Così la gente la indispettisci, anche quelli che per indole e pensiero sono dalla tua parte, anche le persone a cui dovresti fare da paladina. È l’atteggiamento di Paola che non condivido. Io e lei siamo delle privilegiate, abbiamo la possibilità di far sentire la nostra voce e dobbiamo essere realmente da esempio, il segreto è insinuare il tarlo nelle persone che non la pensano come te, non farsi compatire”. Le due, tra l’altro, si sono ritrovate una di fronte all’altra giusto mercoledì per gli ottavi di Champions League, quando il VakifBank (di Egonu) ha battuto il Lodz (di Diouf) ed è volato ai quarti. Si dice che Egonu possa tornare in Italia dopo appena una stagione in Turchia, e lei? “Ogni anno ricevo offerte dai club italiani, vedremo”.

 

Nonostante l’esclusione dalla lista dei Giochi olimpici di Rio 2016, dove è stata estromessa a poche ora dalla partenza e tramite brutale sms dall’allora ct Marco Bonitta, la fama di Valentina non si è mai arrestata. E continua anche oggi, che manca dall’Italia (e dalla Nazionale) da diversi anni (parentesi di Perugia a parte). “Non mi è mai interessato diventare famosa, il mio sogno da bambina era fare l’ingegnere petrolchimico. Io sono una nerd. La pallavolo è stata la prima cosa per cui le mie caratteristiche fisiche (è alta oltre due metri, ndr) erano fighe” ci scherza su. L’azzurro l’ha vestito per poco nell’era Mazzanti, l’ambiente non è stato un motivo per insistere. “Io sono sempre stata un’outsider, non mi sono mai piegata alle logiche dello spogliatoio”. Logiche che, evidentemente, non sempre sono in linea con l’immagine etica dello sport. E così, quando nel 2022 è diventata una delle European Young Leader, ha deciso di portare avanti il progetto: “Too good to be true”, il lato oscuro dello sport. Attraverso testimonianze anonime raccolte ha denunciato atti di bullismo perpetuati all’interno del mondo sportivo. Anche in quello della pallavolo. “Anonime perché se sei ancora in attività non puoi permetterti di parlare, verresti tagliato fuori. Ma ci sono atlete che, dalle proprie compagne di squadra, sono state minacciate di vedersi togliere i soldi dei compensi. Perché queste ne avevano, immotivatamente, la gestione. O veri e propri episodi di bullismo, dispetti reiterati, allenatori che intonano canzoni razziste o che cadono in atteggiamenti molesti, squadre che rescindono il contratto dopo un infortunio costringendo il giocatore a provvedere privatamente all’operazione chirurgica e alla riabilitazione o giocatrici che dopo la maternità non riescono a farsi pagare dignitosamente”. Il quadro è tutt’altro che edificante. “No, non lo è. E attraverso questa organizzazione internazionale si dà potere ai giovani per influenzare il cambiamento e io spero di dare una mano perché questo avvenga anche nel mio sport. Con il professionismo verremmo più tutelate”.

 

Cittadina del mondo, parla quattro lingue, è vegana e dall’Asia si è portata a casa un’esperienza forte: “Giocare due anni in Corea è stato molto bello. Mi rivedo nella cultura orientale o forse dovrei dire nella sua idea romantica, dove si sorride sempre perché la propria frustrazione non si scarica mai sugli altri”. Giocare “da straniera” non è per tutti, spiega. “Molte atlete, all’estero, non durano che una stagione. Devi imparare la diplomazia, essere disposto ad allenarti a duemila tutti i giorni e comportarti davvero da professionista. Prendete il Brasile: se vai lì giochi con ragazze che spingono dalla mattina alla sera perché è la loro occasione della vita e con quel lavoro magari mantengono tutta la famiglia. Nascere in Europa è un privilegio ma non ruota tutto intorno a noi”. Valentina è un’atleta fuori dagli schemi, fidanzata da sei anni con un fotografo e videomaker che la segue in giro per il mondo, è cresciuta con mamma Silvia (“era una hippy ed è andata a vedere l’ultimo concerto di Bob Marley”), una schiera di donne che le hanno insegnato a cavarsela nel mondo e uno zio speciale, Solange, il sensitivo e personaggio tv scomparso nel 2021 che ha ricordato in bellissimo post su Instagram. Viaggia molto (Sri Lanka, Santo Domingo, Thailandia, Shanghai e il Senegal) e impara presto l’abilità finanziaria niente di meno che dalla nonna. “Comprava bot e mi diceva: fai calcoli e non lasciare niente al caso. Io ho sempre investito i miei soldi. Al primo stipendio guadagnai mille euro e ne investii seicento. Mi sono resa conto che tra i giocatori c’è poca dimestichezza su questo argomento e ho in mente di proporre un corso di gestione del patrimonio”. Non di muri o di schiacciate. “Io non parlo mai di pallavolo, non sono una giocatrice convenzionale ve l’ho detto”. E l’ha appena dimostrato.

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