Un'immagine della sfida tra Philadelphia 76ers e Miami Heat (Foto Ap, via LaPresse) 

Perché agli ex campioni dell'Nba non piace l'Nba moderna?

Andrea Lamperti

Ultimamente spesso e volentieri diversi grandi giocatori del passato se ne escono con critiche alle generazioni cui hanno passato il testimone e al basket americano in generale. Non è che il gioco è meno bello, è che è cambiato rispetto alle loro epoche

Tra tifosi, giocatori Nba e addetti ai lavori, delle incessanti diatribe si accendono quotidianamente sul confronto tra presente e passato. Toccando due aspetti in particolare: il GOAT debate, cioè l’elezione popolare del migliore di sempre (su cui glissiamo volentieri); e i motivi per cui, usando espressioni di moda negli ultimi tempi, “l’Nba è diventata un circo” in cui “non si difende più”.

 

Argomentazioni del genere sono all’ordine del giorno su blog e social, in campo cestistico e non. Nello specifico, però, fa specie che siano spesso e volentieri dei grandi giocatori del passato a sparare a zero sulle generazioni cui hanno passato il testimone. Shaquille O’Neal, per esempio, ha detto che l’Nba “stava già diventando soft” quando è arrivato nel ‘92, ma che “oggi è davvero troppo soft”; e prima di lui, un’infinità di esponenti degli Anni ’80 - da Isiah Thomas a Maxwell, da Erving a Barkley - hanno definito il basket di un tempo “la vera Nba”.

 

Gilbert Arenas, stella di inizio millennio, ha commentato questa corrente di pensiero senza giri di parole: bullshit. “Il livello era più alto? Basta dirlo, smettetela. Non potreste neanche competere con i giocatori di adesso: state glorificando quelli che oggi sarebbero tutti falli, non buone difese. Dite che avreste limitato LeBron, se avesse giocato nella vostra epoca. Avete bevuto per caso?”.

 

Donovan Mitchell recentemente si è detto infastidito dall’espressione soft, “usata solo perché in campo non ci picchiamo”. “Guardate come trattavano Jordan”, ha spiegato Bam Adebayo, “dovremmo tornare a giocare così?”. Senza scordarsi che il costante innalzamento degli standard riguarda ogni sport, in modo inesorabile, si può andare tranquillamente avanti senza crucciarsi su cosa sia più e meno godibile, e senza per forza mettere epoche diverse a confronto. È più interessante, invece, capire come siamo arrivati fin qui.

    

Le fondamenta delle polemiche contro l'Nba di oggi

Non è un mistero che l’Nba abbia scelto da tempo di ridurre il margine di manovra per le difese, limitando con l’introduzione di nuove regole la possibilità di disturbare fisicamente i trattatori di palla. Oltre alla prevenzione degli infortuni, l’intento della lega è favorire la libertà d’azione degli attaccanti, e dunque un gioco più spettacolare, che valorizza maggiormente il talento, scandito da un ritmo più alto. Come conferma anche la recente introduzione della take foul rule.

  

Il contesto tecnico

Basta un po’ di zapping su YouTube per constatare come il gioco di oggi e quello degli Anni ’80 siano sostanzialmente due sport diversi, con paradigmi tecnici e tattici stravolti. Tra i tanti fattori che hanno contribuito alla trasformazione, si possono individuare tre macrocategorie:

  • il progresso scientifico e analitico (nuove metodologie di allenamento, maggiore comprensione del gioco e preparazione tattica, e così via)
  • l’innalzamento degli standard fisici e atletici (frutto del progresso di cui sopra, con il sostegno della tecnologia)
  • la dilatazione degli spazi sul campo (favorita da un uso sempre più massiccio e variegato del tiro da tre)

Il paesaggio che si delinea è inopinabilmente meno confortevole per i difensori, chiamati oggi a presidiare porzioni di campo ai limiti del proibitivo, con meno tempo e strumenti a disposizione. Non deve stupire quindi che, nonostante l’accresciuta mobilità dei giocatori e il loro adeguamento all’era dell’ultra-versatilità, contenere gli attacchi sia diventato molto più complicato.

   

I numeri dell'attuale Nba

La logica conseguenza di tutto ciò sono i numeri gonfiati a cui ci stiamo ormai abituando. A livello di squadra, come testimoniano i 350 punti di Kings-Clippers della scorsa settimana, e soprattutto individuale. In quattro mesi di stagione, infatti, si sono registrati oltre 140 quarantelli e 20 cinquantelli, con due exploit oltre quota 70.

Pur trattandosi di una tendenza evidente da tempo, spesso sono proprio prestazioni del genere a trascinare le difese sul banco degli imputati. Dove però, oltre alle precedenti argomentazioni, andrebbero tenuti in considerazione il costante aumento del talento nella lega, frutto di uno scouting sempre più capillare, e la maggior diffusione di sistemi incentrati su mega-creatori di gioco.

Mettere da parte i preconcetti e comprendere la direzione intrapresa dall’Nba è la chiave per abbracciare il cambiamento e (provare a) godersi lo spettacolo. “Oggi Jordan viaggerebbe a 40 punti di media”, dice Jeff Van Gundy. Può darsi che abbia ragione, ma di fronte a una lega che attira ed esalta sempre di più il talento, siamo sicuri che si stesse meglio quando si stava peggio?

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