Ariedo Braida e Adriano Galliani (Ansa)

Il Foglio sportivo

Galliani e Braida, amici (oggi, loro malgrado) nemici

Giuseppe Pastore

Dalla caccia (gelata) a Sheva alla sfida tra Monza e Cremonese

Delle mille avventure vissute in simbiosi da Ariedo Braida e Adriano Galliani, una delle più romantiche e rappresentative della Strana Coppia rimane il viaggio a Kiyv sulle tracce di Andriy Shevchenko, autunno 1998. Era la prima volta che i due si muovevano insieme semplicemente per visionare un calciatore: ma, per un errore del tour operator, erano finiti in una specie di bettola senza riscaldamento a 17 gradi sotto zero, piena di spifferi e gocce d’acqua che filtravano dal soffitto. Galliani ne era uscito con una brutta polmonite e pure una pessima impressione di Sheva, che in tutto il primo tempo di Dinamo Kiev-Panathinaikos non aveva strusciato una palla. E Braida sempre lì accanto, paziente, a dirgli: stai tranquillo Adriano, questo è forte, è più di un anno che lo seguiamo. Maniaco del controllo, uomo di idee estremamente resistenti al cambiamento, alla fine Galliani s’era fatto convincere: potere di Ariedo Braida, l’acqua cheta che rompe i ponti.

 

Oggi l’Ariedo è “consulente strategico di mercato” di una Cremonese piuttosto male in arnese, che nel pomeriggio cercherà per la nona volta stagionale di andare almeno un minuto in vantaggio davanti ai propri tifosi: non c’è ancora riuscita e una cosa così mortificante non capita dai tempi del mitologico Ancona 2003-2004.

A sprazzi ha anche giocato un calcio persino buono, soprattutto contro le grandi, ma in tutti gli scontri diretti – l’ultimo a Verona lunedì scorso – si è regolarmente squagliata, denotando una mancanza di personalità che non è semplice individuare in anticipo dallo schermo di un laptop. Gennaio dovrebbe essere il mese della riparazione, ma la classifica non invoglia molti giocatori a trasferirsi a Cremona e il ruolo attuale di Braida è piuttosto nebuloso: non è un vero direttore sportivo né un direttore generale, e rispetto alla stagione della promozione la sua figura appare depotenziata per volere dei piani alti. Senza la necessaria fame agonistica per uscire dalle sabbie mobili, la Cremonese affonda lentamente, composta e quieta, senza nemmeno l’istinto disperato di cambiare allenatore.

 

Quell’istinto che ha avuto Galliani nel saltare nel buio e affidare la panchina all’absolute beginner Raffaele Palladino, un’idea folle e para-sacchiana – ovviamente nel senso di Arrigo, l’uomo senza pedigree a cui furono affidate le chiavi del grande Milan. Il passato insegue Galliani in ogni inquadratura, in ogni sospiro: anche sabato scorso, passando alla moviola la sua folle esultanza dopo il pareggio al 92’ contro l’Inter, è sembrato naturale tentare di vivisezionargli il labiale, e qualcuno ha giurato che urlasse “Milan! Milan!”, come un ritorno alla mezza età, il richiamo della foresta. Invece forse era un “Ma vai!”, una specie di peo-pericolizzazione da orgasmo calcistico: dopo una vita passata a farsi imitare, adesso è lui che imita Teo Teocoli. Galliani non ha ancora finito col calcio: a 78 anni progetta mercati invernali e poi mercati estivi con prestiti con obbligo di riscatto in caso di salvezza, dà sempre la sensazione che l’unico modo che conosce per lavorare – l’unico che funzioni – sia quello di darsi alla causa 24 ore al giorno, sia una trasferta al Bernabeu o uno scontro salvezza a Cremona. Non contano i colori o le capienze degli stadi, ma il cerchio ancora aperto della propria esistenza, la fiammella che brucia, tenue ma brucia: “La maturità di una persona consiste nell’aver trovato di nuovo la serietà che aveva da bambino quando giocava”, diceva Nietzsche.

 

Braida invece è più distaccato e pacificato, vive la sua professione come un passatempo da ricco borghese che da tempo si è fatto bastare tutta la cascata di gloria che gli è piovuta addosso in trent’anni, anche per merito suo. A Galliani, per qualche strano motivo, tutto questo non è sufficiente: sarà vero che il suo primo amore è sempre stato il Monza e non il Milan, ma per noi cinici del 2023 è stupefacente la maniera gallianesca in cui il Monza si è ribellato a un inizio di campionato da incubo, con cinque sconfitte su cinque e le parole in libertà di Berlusconi che non lasciavano presagire niente di buono come negli anni del declino rossonero. Il metodo funziona ancora: persino una vicenda terribile come l’accoltellamento di Pablo Marì in un supermercato di Assago si è trasformata in uno spot dell'efficienza brianzola, per com’è stata tempestiva la vicinanza del club e com’è stato rapido il recupero fisico e psicologico, mentre tanti squadroni metropolitani si struggono per i rientri dall’infortunio di tanti vecchi campioni strapagati, programmati per le calende greche.

 

È comprensibile non avere simpatia per il Monza, che sprofonda nell’Italietta deteriore ogni volta che il suo attempato proprietario fa proclami scollacciati alla festa aziendale di Natale, e del resto i bilanci sono in rosso come quelli di quasi ogni altra squadra (e la Fininvest ripiana...). Ma se ci imponiamo di parlare solo di calcio, da tre mesi la squadra tiene il passo dell’orologio svizzero e gioca alla pari con quelle della medio-alta classifica, lontanissima dal confuso annaspare di tante compagne della colonna di destra. Galliani e Braida si sono separati nel 2014 e la prosecuzione delle rispettive vite professionali è stata esattamente come ce l’immaginavamo: Ariedo uomo di prestigiose consulenze, legato al lavoro non troppo forte, con le pause e i respiri di un elegantissimo settantenne; Adriano sempre acceso acca-24, incapace di pensarsi diversamente, e dev’essere per questo che il Monza si salverà e la Cremonese no. Ma rimangono anime gemelle, come ha raccontato Galliani alla Gazzetta dello Sport, riferendo un episodio capitatogli durante la lunga degenza causa Covid: “Ariedo telefonava alla mia compagna e la rassicurava: non preoccuparti, non mi lascia vedovo”. Stai tranquillo Adriano: come quella volta a Kyiv, con un’altra polmonite in corso, davanti a questo Shevchenko qui che proprio non ingranava.
 

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