Foto Ap, via LaPresse

Perché si segna così tanto in Nba?

Andrea Lamperti

Quanto detto da Luka Doncic, “guardo molta più Eurolega che Nba”, ha riaperto il dibattito tra chi preferisce il basket europeo e chi quello americano. Per aumentare i punti in Europa servirebbe mettere mano al regolamento. Conviene davvero?

Le parole di Luka Doncic, che ha raccontato di “guardare molta più Eurolega che Nba”, hanno alimentato il dibattito tra chi preferisce l’una o l’altra competizione, e il rispettivo spettacolo offerto al pubblico. Non una discussione nuova, anzi, ma più che mai attuale, e che spesso tende a scivolare su cosa sia meglio e peggio, tra chi definisce il basket continentale di livello infimo e chi etichetta la lega americana come un circo. Di mezzo, fortunatamente, c’è un approccio più equilibrato, apolitico, che contempla la possibilità di non schierarsi. Come ha spiegato Flavio Tranquillo, è una perdita di tempo paragonare “due cose che non sono pere e mele, ma pere e triglie”; mentre è più interessante cercare di cogliere la molteplicità di fattori che rendono le due realtà profondamente diverse.

 

Facendone una questione di talento, l’Nba non ha – neanche lontanamente – eguali al mondo. Se l’occhio non bastasse, lo testimoniano i risultati di Team Usa in campo internazionale e il cambio di status dei giocatori che attraversano l’Atlantico. Nonostante ciò, nell’ossessivo tribunale dei social network (e non solo), alcuni aspetti del gioco Nba sono quotidianamente sotto accusa. “Non si difende”, “è uno show”, e così via. Ma perché tutto questo?

 

Spesso, è l’abissale distanza tra i numeri a suscitare le reazioni più estreme. Soltanto da Natale a oggi, in Nba si sono viste 12 prestazioni individuali oltre i 45 punti, tra cui i 71 di Mitchell e l’assurda tripla-doppia di Doncic. E se oltreoceano il contatore de cinquantelli stagionali è già a quota 14, in Eurolega una performance del genere non si è mai vista. Allo stesso modo, negli ultimi tre mesi più di 60 volte una squadra Nba ha scollinato nel punteggio quota 132 dopo 48 minuti; rapportato alla diversa durata delle gare, l’equivalente europeo sarebbe 110, cifra raggiunta in sole due occasioni in tutto il 2022.

  

Una constatazione fondamentale, parlando di Nba, è il distinguo tra stagione regolare e playoff, e dunque la comprovata crescita del livello di gioco in primavera. La durata della Regular Season, una maratona di 82 partite non sempre in grado di incentivare a dovere tutte le concorrenti, impone infatti un volume esorbitante di impegni e spostamenti, su un vasto territorio. E la condizione psico-fisica di squadre e giocatori, inevitabilmente, ne risente, soprattutto per quanto riguarda la continuità di rendimento.

 

In ogni caso, e in ogni periodo dell’anno, sono le discrepanze nel regolamento a fare la differenza. Per esempio, nella durata delle partite (48’ in America, 40’ in Europa), nell’ampiezza del campo, nella distanza del tiro da tre e nel conteggio dei 3 secondi difensivi: fattori che, direttamente o indirettamente, in Nba sottraggono margine d’azione alle difese. Il risultato è un contesto tecnico diverso, che premia maggiormente il talento offensivo e scandisce le partite a un ritmo più serrato (un possesso dura in media 3 secondi in meno). Per forza di cose, tutto ciò si traduce in numeri diversi da quelli a cui siamo abituati.

  

“Pere e triglie”. Al di là dei gusti personali, è proprio necessario il confronto?

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