(foto LaPresse)

Il foglio sportivo

Il basket secondo Marco Spissu

Francesco Gottardi

Tra Italia e Reyer: “Mi sento più saggio: guai a farsi scappare le nuove sfide”

Questione di tempismo. Chi ancora non conosceva Marco Spissu, ha imparato a farlo lo scorso settembre. Italbasket alle corde, coach Pozzecco espulso. Il numero zero si avvicina e gli dà un bacio. “Come dire: tranquillo, ora ci pensiamo noi”. Pioggia di triple, sinfonia azzurra, Serbia ai piedi del giocatore più piccolo sul parquet. Che sa diventare enorme nel momento del bisogno. Il nostro Europeo si ferma a un tiro dalle semifinali. Ma emoziona, coinvolge, offre immagini da sognare a chi guarda da casa. E concetti: Spissu – 43 punti tra ottavi e quarti di finale, dopo i nemmeno 4 di media nella fase a gironi – è la perfetta sintesi di quel ritocco continuo dei propri limiti. “Nemmeno il tempo di digerire il ko con la Francia”, il playmaker racconta al Foglio sportivo, “che mi sono ritrovato in gondola”. Da Berlino a Venezia, una nuova avventura chiamata Reyer. “Come facevo a dire di no?”.

 

Non è una domanda retorica. L’altro adorato azzurro della carriera di Marco è quello della Dinamo Sassari, con cui è cresciuto e ha scritto pagine di pallacanestro. La più bella però è rimasta incompiuta: “Lo scudetto con i colori della mia città, sfumato in gara 7”. Proprio qui, in terra lagunare. Anno 2019. In panchina c’era il Poz. “Una serie incredibile, a vittorie alternate”, l’ultima prima del duopolio Olimpia-Virtus. “Ricordo ancora l’atmosfera da brividi al PalaSerradimigni. Ma Venezia era uno squadrone e l’ha dimostrato”. Accettare la chiamata degli antichi rivali, oggi, è un atto di umiltà non banale. “Vi dico la verità”, riflette Spissu. “All’epoca ho accusato il colpo più di chiunque altro. Però la carriera di un giocatore è talmente breve che ti costringe ad andare avanti. Fino ai 25 anni non ci avevo mai fatto granché caso: poi cresci, si aprono nuove porte, capisci di doverle cogliere. E la Reyer è una società ambiziosa che in estate mi ha fatto capire di volermi subito al centro del progetto. Vi dico un’altra verità: non ci ho pensato due volte”.

 

Così da qualche mese Spissu è orogranata. “Come sta andando? Sento qualcosa di veramente bello”, sorride dalla sala stampa del palasport Taliercio. “Grande accoglienza, gruppo super. Anche se non è tutto facile all’inizio di un nuovo ciclo”. Perché la Reyer, dopo quasi un lustro attorno ai veterani dei grandi trofei, ha deciso di rinnovarsi. E forgiare da capo “quel nostro senso di appartenenza un po’ retrò” – frase di coach Walter De Raffaele, sempre al timone della squadra – è la più grande sfida che attende il club nella stagione del 150esimo anniversario. Spissu spiega che “ci vuole tempo. Per conoscerci, assimilare gli allenamenti e trovare costanza di rendimento”, per ora meglio in Eurocup che in campionato. “Sappiamo che l’asticella è alta: dopo gli investimenti sul mercato il pubblico si aspetta di vincere subito, ma il processo è di lungo periodo. E le squadre di De Raffaele sono sempre uscite alla distanza”. Come il basket richiede: arrivare pronti in primavera, fragranza da playoff. “Intanto il coach ha dato la squadra in mano a me e a Jayson Granger”, l’altro playmaker arrivato dal mercato. “La nostra priorità è interpretare il suo modo di giocare: ho avuto tanti allenatori in carriera, ricevere una fiducia simile sin dalle prime battute è unararità che va ripagata sul campo. Forse è anche per questo se a volte io e Jayson ci preoccupiamo più dei nostri compagni, rispetto a quel che facciamo noi”. La dura legge dell’assist: una partita ogni quattro, Spissu ne smista sette o più. “Siamo sereni e positivi per vincere il più possibile. Ora ci siamo messi alle spalle la pausa nazionali, che ci aveva frenati in un buon periodo”.

 

Ma che musica, per l’Italia. Battendo la Georgia lo scorso 14 novembre, gli Azzurri hanno centrato la seconda qualificazione consecutiva ai Mondiali per la prima volta in oltre trent’anni. “La posta in palio, i brividi del punto a punto finale: sono cavalcate che rimangono. Ed è andata veramente bene”, con il numero zero top-scorer della serata. A quasi 28 anni, che tipo di giocatore è Marco Spissu? “Maturato. L’esperienza in campo è ciò che conta di più”. Riflette. Poi afferma convinto: “Mi piace essere leader. E caricarmi sulle spalle il peso della squadra nei momenti che contano. Merito della gavetta: dicevano che non avrei potuto giocare in Serie A”. E invece. “Diciamo che con la mia storia c’è speranza per tutti. Sono una persona normale, alla mano. Soltanto lavoro e passione”. Sì? “Ho anche un po’ di talento, dai. Però sono malato di pallacanestro sin da quand’ero bambino: vivevo sul parquet, andavo a vedere le partite di mio fratello, tiravo a canestro durante gli intervalli della Dinamo”. E in allenamento, gli occhi sui grandi playmaker passati per Sassari. “Travis Diener, Jason Rowe, Lionel Chalmers: li studiavo e cercavo di imitarli. Ho sempre sognato di diventare professionista. E man mano che crescevo, realizzavo di avere qualcosa in più rispetto ai miei coetanei”.

 

Il momento di svolta? “Tanti. Anno dopo anno”. Per un attimo Spissu si rivede in Sardegna. Poi in giro per l’Italia: Casalpusterlengo, Tortona, Bologna. “Ho lasciato la mia isola che ero un ragazzino e vi sono tornato uomo: procedere senza la famiglia alle spalle è il primo step verso la vita reale”. Alla Dinamo diventerà un simbolo e un beniamino. “Ma attenzione: non è facile giocare da profeti in patria. Ed è ancora più difficile rinunciare a una comfort zone stellare”. Fatto sta che nel 2021 il play si trasferisce all’Unics Kazan. Per la prima volta a titolo definitivo. “Sono volato fino in Russia pur di assaporare l’Eurolega: altra grande tappa. Per fare tutto questo ci vogliono gli attributi. Un po’ di buona sorte. Ma anche reattività al mondo che ci circonda”.

 

E torniamo alla scelta Reyer. Verrebbe quasi da scusarsi, per averlo addentrato in questa chiacchierata esistenziale: parlando di spogliatoio, Marco ci tiene a dire che “io sono quello che scherza sempre. Un ragazzo solare, risate e battuta pronta: il miglior rituale prepartita. Per fortuna anche i miei compagni sono così. Col passare dei mesi questa atmosfera sarà un valore aggiunto. Stiamo tutti al gioco”. Ognuno a modo suo. “Ecco, magari Michael Bramos è il più silenzioso. Però appena apre bocca ha una parola positiva per tutti, da capitano vero: ti incuriosisce perché lo vuoi ascoltare e conoscere”, come se il greco rappresentasse la città trascinata negli anni ai vertici della pallacanestro. “Devo ancora scoprire i miei scorci preferiti di Venezia”, confessa Spissu. “Nei giorni liberi vado in centro storico con la mia ragazza. Relax, passeggiate per le calli. Ma partiamo sempre da Piazza San Marco”, dove la squadra celebra i suoi trionfi, aspettando il prossimo.

 

Qualche anno fa, fece il giro del web la nota che una professoressa del liceo scrisse alla mamma di Spissu: “Marco non segue la lezione perché pensa al basket”. Lui non nega. “Mi ha beccato che guardavo la finestra, quella sera avrei avuto una partita importante. Sapevo che la mamma avrebbe capito. Alla fine anche la prof mi ha dato ragione, venendomi a tifare alle partite della Dinamo”. E fuori dalla finestra, oggi, cosa vede Spissu? “Il presente che vivo a pieno. Sono nel mezzo della mia carriera, mi diverto e voglio dare il massimo. Sempre concentrato sul campo”. Non è cambiato nulla, insomma. Solo il tempo di andare a canestro. E annessi baci, trofei, capolavori strada facendo.

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