Stephen Eustáquio contrasta Luka Modric (foto Epa, via Ansa)

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Stephen Eustáquio e l'ossessione dello studio del calcio

Andrea Romano

Il centrocampista del Canada ha la capacità di non perdere la calma, di aspettare il momento giusto per cercare la verticalizzazione che affetta la difesa avversaria

Pare che la colpa sia stata di suo padre Armando. Perché dopo ogni allenamento l’uomo prendeva in disparte il figlio e gli ripeteva sempre le stesse parole: "Devi studiare il gioco. Il giorno in cui smetterai di farlo, smetterai di migliorare". Stephen Eustáquio se l’è sentito ripetere così tante volte che ha finito per elevare a sistema quella frase. Fino a farne un’ossessione.

 

Quando era piccolo riempiva un quaderno dietro l’altro. Anneriva quelle pagine bianche annotando i suoi difetti, evidenziando le caratteristiche del suo gioco che desiderava migliorare. Di tanto in tanto, quando era in vacanza con la famiglia, si alzava di scatto, prendeva il suo portatile, caricava un video di una partita di qualche mese prima. E nel silenzio stupito di chi gli stava accanto, annunciava: "Vedete questa azione? Avrei dovuto fare una giocata diversa". Anni dopo quella fissazione ha assunto i contorni della benedizione. Perché Eustáquio è diventato un calciatore dall’intelligenza fuori dal comune, un tuttocampista che per esigenze di sintesi viene chiamato centrocampista box to box.

 

Il Guardian ha definito il canadese uno che "copre con un numero 6, imposta come un numero 8, ma ha la visione di gioco del numero 10". In verità sono anni che Stephen viene definito in molti modi diversi. The Athletic lo ha indicato come l’uomo "vitale" per il Mondiale del Canada. Per il suo ct John Herdman è addirittura "un giocatore chiave per dettare il tempo della partita", nonché "l’incarnazione di tutto ciò di cui abbiamo bisogno per far crescere il nostro movimento calcistico". Iperboli. O forse no. Eustáquio non ha solo una tecnica superiore alla media. È soprattutto un centrocampista che sa di avere una tecnica superiore alla media. Una consapevolezza che gli permette di non perdere la calma, di aspettare il momento giusto per cercare la verticalizzazione che affetta la difesa avversaria. Si tratta di una dote che ha appreso in famiglia. Nel vero senso del termine.

 

I suoi genitori sono portoghesi, ma si sono trasferiti in Ontario, Canada, agli inizi degli anni Novanta. L’idea è quella di cercare una vita migliore, ma il richiamo della loro terra è troppo forte. Dopo dieci inverni caricano i figli Mauro e Stephen, quattro anni più piccolo, su un aereo e tornano a casa. I pomeriggi sono infiniti. E quando Mauro esce a giocare a pallone con gli amici è costretto a portarsi dietro anche il fratello. Stephen è così piccolo che viene quasi bullizzato dagli atri ragazzini. Almeno in senso calcistico. "Sotto un certo punto di vista è stata la sua fortuna - ha detto Mauro - tutti erano più forti e più veloci, così lui ha dovuto imparare a leggere il gioco fin da piccolo".

 

Gli inizi sono difficili. Nazarenos, União Leiria, Torreense, in terza serie. Poi arriva la chiamata del Leixões, in Segunda Liga. La sua storia è frammentata. Dopo un anno vola al Chaves, nella massima serie portoghese. Lo staff del club dice che sembra un calciatore uscito dalla Cantera del Barcellona. Eppure poco dopo la parabola del centrocampista prende una traiettoria imprevista. Lo vuole il Cruz Azul, in Messico, nella periferia del calcio. Eustáquio ci pensa e accetta. Il suo debutto oscilla fra il surreale e il grottesco. Perché contiene gioia e dolore, ma non in parti uguali. Nel secondo tempo del match contro il Tijuana viene fatto alzare dalla panchina e viene spedito in campo. Un paio di minuti più tardi il ragazzo compie il percorso inverso. L’arbitro gli ha appena sventolato un cartellino rosso sotto il naso. Quando è ormai diretto verso gli spogliatoi viene richiamato indietro. Il Var ha stabilito che il giallo sia la punizione più equa. Eustáquio torna di nuovo in campo, ma poco dopo si accascia a terra. Il ginocchio ha fatto crack. Vuol dire otto mesi di tribuna. "Ho imparato molto guardando gli altri giocare", dirà poco dopo. Nel 2019 torna in Portogallo, al Paços de Ferreira. E dopo due stagioni (e mezza) su ottimi livelli arriva la chiamata del Porto. Nel frattempo Stephen gioca con l’Under 21 portoghese. Insieme a Diogo Jota. Insieme a Bruno Fernandes. Un giorno riceve una telefonata. È John Herdman, il ct del Canada. Gli chiede se è disponibile a giocare per lui. E glielo ripete in altre 11 chiamate. Alla fine Eustáquio accetta: "Il Canada si è preso cura della nostra famiglia - dice - ora è tempo di sdebitarsi". Così la Nazionale in maglia rossa ha trovato la sua nuova stella. Forse più difficile da notare rispetto a Alphonso Davies e Jonathan David, ma altrettanto luminosa.