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Qatar 2022

La Nazionale del Canada non è più una "vergogna nazionale"

Andrea Trapani

La Federcalcio canadese ha preso il meglio di quanto offriva la Mls e il calcio nordamericanno per migliorarsi e avere un contesto più competitivo dove giocare (pur non avendo un campionato). E ora punta a non essere più una cenerentola del calcio mondiale

Nell’agosto 2014 il Canada occupava la posizione numero 122 del ranking Fifa, a febbraio 2021 era risalito fino al 72esimo, mentre oggi ai Mondiali si presenta in posizione 41. Vero è che questa classifica non vale poi molto: puoi essere in alto e guardare lo stesso i Mondiali da casa, rimane comunque un buon termometro per misurare i progressi dei movimenti più innovativi che si stanno affacciando al calcio che conta.

 

Il Canada? Tanto grande quanto sconosciuto

Siamo chiari, il Canada attuale non è proprio una squadra sconosciuta ma vive i limiti geopolitici della nazione che rappresenta. Troppo grande per essere ignorata, troppo vicina agli Stati Uniti per venire considerata. A di là delle simpatie innate che regala una bandiera con una foglia rossa d’acero su sfondo bianco, quasi nessuno li nomina neppure tra le potenziali sorprese in Qatar. Se ne parla poco, perfino troppo poco, va bene essere un underdog ma questa nazionale merita più rispetto.

Insomma, non parliamo della squadra che, a Messico 1986, non lasciò nessun segno della propria esistenza se non negli almanacchi: tre partite, zero punti, zero gol segnati e solo un’onorevole sconfitta contro la Francia, rete di Papin, da ricordare. Gli altri due insuccessi, entrambi per 2-0, contro Urss e Ungheria, sono talmente nascosti nei numeri che li conoscono solo gli statistici dello sport. In quegli anni l’uomo squadra era il portiere Martino "Tino" Lettieri che aveva trovato la propria fortuna, sportiva e non, nella North American Soccer League. La sua è una delle tante storie di emigrati italiani che ce l’hanno fatta lontano da casa senza lasciarne troppe tracce. Come del resto la Nasl che aveva chiuso i battenti, assieme ai sogni di chi ci aveva investito, nel 1984. Insomma, all’epoca non si poteva chiedere di più a una nazionale che non aveva nemmeno lo straccio di un campionato. Oggi invece il Canada è una squadra con spalle ben più forti, ha saputo far crescere i propri talenti, compresi i figli degli immigrati appassionati al pallone, con una struttura che parla un calcio moderno e che riesce a schierare calciatori competitivi senza doverli rincorrere tramite gli uffici dell’anagrafe.

   

Puro razionalismo socialista

Un grande successo considerando che il campionato canadese è ancora una specie di esperimento - solo dal 2019 esiste la Canadian Premier League – mentre i migliori team giocano in America.

Non è una sorpresa, i canadesi sono assai pragmatici: bisognava massimizzare quel che si aveva e la nascita di squadre a Toronto, Vancouver e Montreal ha dato sfogo a una passione, sopita da troppo tempo, con risultati tangibili. Hanno ragione gli esperti che hanno parlato di puro razionalismo socialista: la Federcalcio di Ottawa, infatti, ha preso il meglio di quanto offriva la Mls per creare complessi migliori e avere un contesto più competitivo dove giocare. Si sono riempiti gli stadi, sono arrivati calciatori importanti - l’esempio di Bernardeschi e Insigne è ancora attuale – e ne sono cresciuti di altrettanto validi. Basti pensare che i giocatori più rappresentativi della nazionale sono il frutto di queste scelte, come Alphonso Davies che gioca nel Bayern Monaco e Jonathan David che è protagonista con il Lille.

   

Dalla “vergogna nazionale” alla rinascita firmata John Herman

Dietro a queste storie c’è l’impegno di chi ha davvero creduto nella rinascita del calcio canadese. Victor Montagliani - imprenditore di origini abruzzesi, dirigente sportivo nonché attuale presidente della Concacaf - probabilmente ha letto, anni fa, con spirito di rivalsa, le sprezzanti parole della ‘Montreal Gazette’ che scrisse, senza tanti giri di parole, che la nazionale di calcio fosse “una delle poche cose di cui il mondo sportivo canadese si deve vergognare”. Difficile dare torto ai colleghi. L’esperienza del 1986 era stata talmente insufficiente da essere sembrata alla stregua di un trattamento omeopatico per un movimento che ha dovuto attendere tre decenni prima di risalire la china.

Farsi trovare preparati quando la generazione dei nuovi talenti avrebbe iniziato a emergere è stato il mantra degli ultimi anni. Il successore di Montagliani, Steve Reed, ha colto al volo l’opportunità e ha guidato la Federcalcio canadese in una scelta che è più unica che rara, chiamando come CT colui che era stato, dal 2011 al 2017, l'allenatore della squadra femminile (bronzo a Londra 2012 e Rio 2016).  Tanto impensabile nel calcio europeo, quanto efficace per plasmare una squadra che stava nascendo. Detto, fatto: così l’inglese John Herdman ha dimostrato che la crescita realizzata nel calcio femminile si potesse replicare anche in campo maschile.

Un sogno diventato realtà, in barba allo scetticismo di tutti. Stavolta non punta alle semifinali, né tantomeno ad arricchire il (già ricco) palmares dell’esperto capitano Atiba Hutchinson, ma sicuramente vuole rimanere nel calcio che conta. Tra quattro anni si giocheranno i mondiali in casa e non esiste occasione migliore per dimostrare che il Canada non andrà più ignorato.

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