Giro d'Italia. L'apparizione di Alberto Dainese

Sul rettifilo che conduceva al traguardo di Reggio Emilia il velocista italiano fino a un attimo prima non c'era, era un punto nero nella confusione di ruote che si mangiavano, velocissime, l'asfalto, un attimo dopo era davanti a tutti

Giovanni Battistuzzi

Dopo l’arrivo della undicesima tappa del Giro d’Italia, davanti al microfono e alla telecamera della tivù, Alberto Dainese aveva lo sguardo incerto di chi non è abituato a ritrovarsi al centro dell’attenzione e di chi non si rende ancora bene conto di cosa è accaduto. Guardava a destra e a sinistra, quasi volesse scovare nel contesto che gli stava attorno qualche indizio che confermasse che quanto successo pochi minuti prima non fosse tutto uno scherzo. Che quelle mani che aveva staccato dal manubrio e alzato verso il cielo sotto il traguardo di Reggio Emilia, fossero davvero state staccate dal manubrio e alzato verso il cielo. La disabitudine alla vittoria crea sempre dubbi. O meglio, concede quello stupore che si perde una vittoria dopo l’altra. Le gote rosse, la voce claudicante, l’incertezza tra tu e lei, sono qualcosa che si perdono per strada, che evaporano pian piano come il sudore sulla fronte.

Prima dell’undicesima tappa del Giro d’Italia, Alberto Dainese aveva vinto soltanto dall’altra parte del mondo, in Australia, e in un altro mondo, quello prima della pandemia, febbraio del 2020. Poi c’era andato solo vicino, a volte a un passo, ma sempre dietro almeno a una schiena, che, nel ciclismo e non solo nel ciclismo, vuol dire oblio: ci si ricorda mai di un secondo posto, figurarsi degli altri.

Anche oggi, sul rettifilo d’arrivo, che al traguardo mancavano cento metri, Alberto Dainese sembrava destinato a vedere qualche schiena davanti a lui. Era indietro, veloce e in rimonta sì, ma indietro. Quasi sembrava impossibile che qualcuno potesse superare Fernando Gaviria. Era partito forte il colombiano, e stava pedalando forte. E lo si supera mai uno che è partito forte e sta pedalando forte. O quasi mai. Perché oggi Alberto Dainese ha messo le ruote davanti a Fernando Gaviria. Con tanti saluti della consuetudine delle volate. E anche della convinzione che Fernando Gaviria stesse continuando a pedalare forte.

Anche perché la volata di Alberto Dainese più che una volata è stata un’apparizione. Fino a un attimo prima non c’era, era un punto nero nella confusione di ruote che si mangiavano, velocissime, l’asfalto, un attimo dopo era davanti a tutti.

 

Foto LaPresse

 

È apparso Dainese, com’era apparso, circa un’ora prima, e sempre in testa al gruppo, Dries De Bondt.

I fuggitivi del mattino erano stati ripresi dopo un centinaio di chilometri dagli uomini della Ineos che puntavano al traguardo volante di San Giovanni in Persiceto come fosse l’arrivo di tappa. Richard Carapaz voleva i tre secondi d’abbuono e quando un capitano ordina, i gregari si prodigano per accontentarlo. Luca Rastelli e Filippo Tagliani (che con quelli di oggi ha raggiunto i 530 chilometri a fuggire dal gruppo) ripresi e abbuono in saccoccia per Carapaz. Tre secondi sono un niente, ma si sa mai di questi tempi di classifiche sempre più corte. Carapaz è una sorta di gatto della bicicletta, segna il territorio lasciando qua e là il suo odore. Meglio impressionare gli avversari per determinazione, li si rende meno pericolosi.

L’apparizione in testa al gruppo di Dries De Bondt, al contrario di quella di Alberto Dainese, è avvenuta nel momento sbagliato. O almeno così si è portati a credere. Perché quando i ciclisti vagano per pianure, la volontà del gruppo è sempre più forte di quella del singolo. Soprattutto se di chilometri all’arrivo ne mancano una cinquantina e la volata di gruppo è cosa talmente scontata che sembra impossibile un finale alternativo. Dries De Bondt però è uno che crede che nulla sia davvero impossibile e che nel ciclismo tocca sempre tenersi pronti che non si sa mai, un errore lo possono commettere tutti. Era quasi riuscito a crederci davvero oggi. Lo hanno ripreso a milleduecento metri dall’arrivo dopo un inseguimento che per qualche chilometro è sembrato poter esser vano.

Vano come il desiderio di finire la corsa di Biniam Girmay. La vittoria di ieri è stato il penultimo atto del suo Giro d'Italia. L'ultimo, suo malgrado, è stato quel tappo saltato via dalla bottiglia di prosecco sul podio di giornata