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Tsitsipas, Jabeur e gli altri: la voce dello sconfitto

Giorgia Mecca

Il tennis è crudele anche quando fa parlare chi ha perso. Che reagisce con gran stile, come agli Internazionali d'Italia

Il tennis è crudele in tanti modi diversi. Non basta perdere una finale, non basta l’umiliazione di un 6-0, gli applausi del pubblico che vorrebbero consolare e non ci riescono. Chissà che cosa avrebbe pagato Stefanos Tsitsipas per sparire dentro agli spogliatoi, da solo, dopo aver stretto la mano al vincitore degli Internazionali d’Italia, Novak Djokovic. Ci sono calciatori che si sfilano le medaglie del secondo posto subito dopo essere stati obbligati a indossarle. Nel tennis non sarebbe possibile, l’etichetta, le buone maniere impongono che la cerimonia sia collettiva e che prima del campione, anche il finalista, lo sconfitto, si avvicini al microfono e pronunci il suo discorso.

 

Da Tsitsipas ci si sarebbe aspettati qualche frase di rito, breve e banale, “grazie Roma, bel torneo, ci vediamo l’anno prossimo”. Invece il tennista greco, rivolgendosi al numero uno del mondo ha detto: “Farò del mio meglio ogni giorno e spero di raggiungere il tuo livello, sei una ispirazione per tutti”. Poche ore prima era toccato a Ons Jabeur pronunciare le parole della sconfitta: “Abbiamo molto da imparare da questa partita, continueremo a spingere”. I campioni hanno gioco più semplice, per Swiatek è stato facile ridere parlando del tiramisù che stava per mangiare, senza rimpianti, per festeggiare; così come per Djokovic fare lo spiritoso. Nole in italiano si è divertito a spiegare che anche suo figlio Stefan domenica ha giocato la  prima partita ufficiale, “speriamo che abbia vinto anche lui”, ha detto, mentre Tsitsipas, fuori campo applaudiva.

Non è un compito facile essere sconfitti e costretti a parlare in pubblica piazza, i tennisti però sono quasi sempre eleganti, empatici, commoventi. Sono stati dalla parte dei vincitori e dei vinti, sanno cosa bisogna evitare di dire. Il giorno prima della finale di Roma, Casper Ruud, consegnando a Djokovic la sua vittoria numero mille, si è avvicinato al suo avversario dicendogli: “Sono contento di avere una piccola parte nella tua grande storia”. Chapeau.

Non esiste ghostwriter della disfatta. I discorsi, gli sconfitti, se li preparano da soli, li improvvisano sul momento, spesso si interrompono per scoppiare a piangere. “God, it’s killing me”, disse Federer agli Australian Open del 2007, allontanandosi dal microfono, la sconfitta con Nadal lo stava uccidendo, disse. Ci riprovò pochi minuti dopo, “Scusate, vi ruberò ancora qualche attimo e poi basta, questo ragazzo (Nadal) si merita di stare in primo piano”. Qualche anno dopo, a Wimbledon, fu lui a far piangere Andy Murray conquistando il suo settimo titolo ai Championships. “Non sarà facile fare un discorso”. Disse lo scozzese. “Dopo la semifinale tutti mi hanno detto che questa era la mia grande chance, d’altronde, dicevano, Roger ha 30 anni. Mi sono reso conto che non li porti male i tuoi 30 anni, complimenti, ti meriti tutto”.

Dopo ore di sudore e di tensione, dopo aver gettato in campo anche l’anima, tutto l’armamentario a loro disposizione, i tennisti, alla fine di un torneo possono permettersi di essere sinceri, condividere l’amarezza e il dolore, senza mai dimenticarsi l’onore delle armi. “Proverò a dimenticare”, disse Federer dopo aver perso in finale a Wimbledon contro Djpkovic nel 2019, sprecando due match point. Agli ultimi Australian Open Daniil Medvedev ammise che non è facile essere costretti a parlare dopo al termine di cinque set, quattro ore, una finale persa, è però riuscito a trovare l’ironia per dire a Nadal “Spero almeno di averti fatto stancare un po’”.

Sempre a Melbourne si è tenuto uno dei migliori discorsi post partita di sempre, made by Roger Federer. Nel 2017 alzando il suo ventesimo Slam, si girò verso Nadal e disse: “Cinque mesi fa nessuno pensava fosse possibile un’altra finale tra di noi. Se esistesse il pareggio nel tennis, sarei felice di condividere questa vittoria con te”.