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L'ultimo Giro d'Italia Vincenzo Nibali, o l'arte timida del ciclismo

Giovanni Battistuzzi

Al termine della quinta tappa del Giro, nella sua Messina, il corridore siciliano ha annunciato che si ritirerà a fine stagione. L’esistenza a pedali e in gruppo dello Squalo è stata molto simile a questa frase d’addio

Quand’è il momento giusto di dire basta, di dire addio a qualcosa senza la quale facciamo fatica a stare? Trovarlo non è mai semplice, anzi. Soprattutto quando quel qualcosa a cui è difficile rinunciare è stato la nostra vita. Vincenzo Nibali l’ha trovato un pomeriggio di maggio, l’11 maggio, a casa sua. Perché a volte serve un indizio per spingerci a dire davvero addio, qualcosa che ci faccia capire che quello è il luogo e il momento adatto. Per soffrire di meno, per sentire più lieve il peso della fine che ci si impone.

 

“Sono venuto qui perché sapevo da tanto tempo che il Giro sarebbe arrivato a Messina. È l’occasione giusta per annunciare che questo sarà il mio ultimo Giro e a fine anno lascio”, ha detto Vincenzo Nibali al Processo alla tappa, al termine della quinta frazione del Giro d’Italia 2022. Poche parole, nello stile del corridore, per concedere a tutti la condivisione di un vuoto. Perché un addio è nient’altro che questo: il termine di qualcosa, l’apertura su un altrove che assomiglia al nulla. Va sempre così. Mettere la parola fine a quello che ci ha accompagnato per anni, per decenni, per una vita, è una ricostruzione totale, da zero o quasi di un’esistenza.

 

L’esistenza a pedali e in gruppo di Vincenzo Nibali è stata molto simile a questa frase d’addio. Semplice, tranquilla, quasi timida, eppure incredibilmente presente ed emotiva. Perché su di una bicicletta Vincenzo Nibali è riuscito a creare qualcosa di non comune. Ha vinto tanto, ha conquistato tutte le corse a tappe di tre settimane, due volte il Giro di Lombardia, una volta la Milano-Sanremo. E ha vinto tutto quello che ha vinto riuscendo a farlo con grazia e cortesia, quasi chiedendo perdono per lo spazio che occupava, con una timidezza e con un garbo che si addicono più a un signore d’altri tempi che a uno sportivo.

 

Vincenzo Nibali non è stato un capopopolo, non mai avuto la spacconeria dell’aizzatore di folle. Ha pedalato con la dolcezza del pittore che guarda oltre le sue tele e cerca di trovare la chiave buona per evitare di ripetere il già visto, il già sentito. Nibali ha corso sempre con l’idea che di impossibile non c’è niente e che la convinzione che tutto sia ribaltabile spesso può bastare a rendere possibile l’improbabile. Come al Giro d’Italia del 2016, quando riscrisse un racconto che aveva già il suo attore protagonista: Steven Kruijswijk. Come al Tour de France del 2014, quando minò le certezze dei favoriti ben prima che questi trovassero l’asfalto. Come alla Milano-Sanremo del 2018, quando dimostrò che anche uno che vince i grandi giri può conquistare la più veloce delle classiche monumento.

 

Vincenzo Nibali ora affronterà gli ultimi suoi cinque mesi da corridore. Lo farà come al solito, con una pagina bianca da riempire e senza l'ansia di riempirla per forza. Questo Giro d'Italia sarà il suo saluto. L'occasione di immaginarsi un finale diverso da quello dell'Etna.

 

Vincenzo Nibali non è mai stato il più forte, non è mai stato il fenomeno incredibile che poteva conquistare tutto quasi senza fatica. Ogni suo successo se l’è sudato, l’ha cercato e costruito. Come fanno i pittori.

 

Dipingere è anche una questione di silenzi. Così come pedalare.

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