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la semifinale della Nations League a Milano

Non prendetevela con chi fischierà Donnarumma

Giovanni Battistuzzi

Italia-Spagna si gioca a San Siro, lo stadio che è stato casa del portiere, ma che ora non lo è più. Perché la maglia della Nazionale non può essere un'amnistia rispetto alle scelte del passato

Quei quattro legni piantati al limitar del campo da gioco e sormontati dalle traverse sul terreno di San Siro li conosce bene. Erano la sua dimora tutto l'anno, un posto sicuro al quale lui stesso dava sicurezza. Sarebbero potuti essere ancora i suoi, così non è stato. Le scelte a volte portano lontano dalle zone di conforto, conducono lontano dall'abitudine.

Quelle porte Gianluigi Donnarumma le ritroverà stasera. Uguali a loro stesse eppure diverse. Saranno il contesto e il contorno a cambiare e non solo perché a Milano si gioca Italia-Spagna, semifinale della Nations League. Perché quelli non sono più i suoi luoghi. Quello non è più il suo stadio. È finito distante da lì Gigio. Ha scelto l'altrove, quello ricco e opulento di Parigi.

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Un calciatore è un professionista, ha il pieno diritto di scegliere cosa è meglio per lui, quale sia il posto migliore per dimostrare il proprio talento e quanto questo deve rendergli economicamente. Donnarumma e Mino Raiola hanno deciso che quel posto non era Milano e il Milan. Il calcio – e soprattutto il calciomercato – è così. Non deve stupire. Nessuno si stupirebbe se a un foro boario un capo di bestiame passa da un allevatore X a uno Y per una cospicua cifra di denaro. Li hai visti che garroni? L'hai visto il pelo quanto è lucido? Se la bestia vale è giusto che valga.

Il calcio però è anche un contenitore di memoria. Quella delle vittorie e delle sconfitte del passato. Quella della rivalità tra squadre. Quella dei colori, ossia del minimo comune denominatore che tiene assieme quell'appartenenza che si è soliti chiamare tifo. È stata la Uefa a ricordarne e riconoscere l'importanza quando si è appellata al calcio del popolo contro la bruttura del golpe superleghista.

E la memoria non è quasi mai quella pia e dolce e trasportata dal nobile sentimento dell'innamorato che ricorda l'amata. È solitamente quella ben più terra terra dell'appartenenza, della passione calcistica che ricorda i momenti felici, o tristi, a patto che il ricordato vesta ancora quei colori. Oppure non li vesta più per ragioni di assoluta necessità.

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Nel caso di Donnarumma i tifosi rossoneri queste ragioni di assoluta necessità non le hanno ravvisate. Anche perché non è stato ceduto per ragioni di bilancio, il Milan l'ha lasciato per ragioni economiche.

Il calcio del popolo ha il suo tribunale. E questo tribunale è lo stadio. La condanna si palesa in fischi e cori, molto spesso anche in insulti. Fa parte del gioco. Un professionista dovrebbe conoscerlo. Suggerire ai tifosi di non farlo è lecito, soprattutto se è un allenatore a chiederlo. Non è lecito né tanto meno corretto, dire invece ai tifosi di non farlo sottolinenando che un giocatore che veste la maglia della Nazionale dovrebbe godere di una sorta di amnistia rispetto al passato. E questo perché la maglia della Nazionale non è un indulto e le scelte fatte non si annullano solo per la presenza in Azzurro di un calciatore. E questo nonostante l'Italia si giochi la finale della Nations League.

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