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Luis Enrique cerca di allontanare la Spagna dal caos del calcio spagnolo

Federico Giustini

Le grandi della Liga sono in difficoltà in campionato e nelle coppe, la Roja fatica nelle qualificazioni ai Mondiali di Qatar 2022, ma il tecnico asturiano non ne fa un problema e va avanti con il suo progetto di ripartenza. Forse l'unico nella penisola iberica

Tutta quella retorica sulle opportunità che una crisi è in grado di generare non affascina neanche un po’ Luis Enrique. O forse la retorica in generale: il ct della Spagna va avanti con convinzione seguendo uno spartito che solo lui sembra conoscere già da tempo. E c’è da fidarsi, perché la sua nazionale ha sfiorato la finale degli Europei dopo un avvio piuttosto stentato ai gironi e perché, sotto la sua sapiente guida, mentre piovevano critiche sul gioco e sulle scelte, la squadra ha saputo imporre un calcio dominante costringendo l’Italia a una partita di grande sacrificio. Il calcio spagnolo in generale vive una fase di involuzione. Di crisi si può parlare limitandosi a osservare un momento in cui le due storiche big stentano in patria e in Europa (fanno effetto gli zero tiri in porta del Barça nelle due gare di Champions, ma anche il clamoroso ko al Bernabeu del Real contro lo Sheriff), e la Liga procede tra match da sbadiglio (già 11 gli 0-0 in otto giornate) e pochi sussulti (176 i gol segnati, meno dei 192 della Bundesliga, dei 224 della Serie A e dei 182 della Premier, malgrado in Spagna si sia disputato un turno in più). La nazionale di Luis Enrique, però, ambisce a collocarsi al di fuori da questa cornice e magari a trainare il movimento: un qualcosa che assomiglia molto a un progetto.

Stasera a San Siro, nella semifinale della Nations League, gli azzurri di Mancini ritrovano quell’avversario che il ct, con una mossa psicologica piuttosto indovinata per infondere autostima ai suoi (“Vedrete, ci giocheremo il Mondiale con loro”), elogiò nella riunione prepartita a luglio. A tre mesi da quella semifinale, l’entusiasmo per la Roja in Spagna sembra essersi affievolito. La sconfitta incassata a Solna contro la Svezia ha complicato la corsa verso Qatar 2022, trasformando quasi certamente la sfida di ritorno, in programma il 14 novembre, in uno spareggio per la qualificazione diretta ai Mondiali. Una gara in cui la Spagna dovrà, salvo clamorosi inciampi della nazionale che ci lasciò fuori da Russia 2018, per forza vincere.

  

Alle critiche piovutegli addosso negli ultimi giorni Luis Enrique ha risposto senza scomporsi troppo: “Non vi leggo perché penso di sapere più di calcio della maggioranza di voi e perché ho più informazioni di voi”. La stampa gli ha contestato alcune scelte nelle convocazioni. In ordine sparso: l’assenza di una prima punta di ruolo visti gli infortuni di Alvaro Morata e Gerard Moreno; la mancata presenza, per la terza volta di fila, di calciatori del Real Madrid; la convocazione di giocatori del Barça, come Eric Garcia e Sergi Roberto, che non stanno esattamente brillando; la chiamata del classe 2004 Gavi, talentuosa e promettente mezzala blaugrana, ma che ha messo assieme solo 275 minuti in Liga in tutta la sua vita; le esclusioni di Ander Herrera, Brahim Diaz, Fabian Ruiz e Rafa Mir. 

Per ogni questione il tecnico asturiano ha una risposta, riconducibile sempre e comunque alla sua idea di calcio, che si fonda sul palleggio, su mezzali tecniche dotate anche di un buon passo, sulla capacità del centravanti (o falso nueve) di legare il gioco e sugli esterni d’attacco molto larghi. Riconducibile forse anche alla voglia di stupire, inserendo profili sempre più giovani indipendentemente dal loro minutaggio o dalla loro struttura fisica. In ogni caso Luis Enrique tira dritto per la sua strada, e sembra l’unico a farlo in questo momento, affidandosi a idee che richiedono un orizzonte di tempo più ampio, in una Spagna pallonara governata dal caos e con meno fantasia rispetto al recente passato.

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