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L'Italia va in finale all'Europeo, nonostante tutto

Giovanni Battistuzzi

La Nazionale meno manciniana di Euro 2020 batte ai rigori la Spagna. Chi vince però non ha colpe, tutto è perdonato. Funziona così

I cartelloni pubblicitari sono un mondo di colori, scritte e movimenti. Per quasi un’ora sono stati la cosa più dinamica sul prato di Wembley. Tra passaggetti orizzontali spagnoli, poco movimento di tutti e pressing italiano assente c’era poco altro da guardare. Poi, in un impeto di vita del tutto improvvisato, una palla rilanciata da Donnarumma si è trasformata in una verticalizzazione, in un passaggio azzeccato e in un tiroaggiro, ma nemmeno troppo. Un tiro giusto, di quelli che centrano la porta. E a volte basta, anche se a farlo non è il numero 10. 1-0 gol di Federico Chiesa.

Italia-Spagna si è vitalizzata dopo il vantaggio degli Azzurri. Non troppo, a dirla tutta, ma il giusto per rendere la partita non soporifera. Sono quasi mai belle le partite che decidono le finali importanti, tant’è. Roberto Mancini aveva messo in campo una squadra tignosa, accorta, passiva. Idea antica: fai credere agli avversari di avere il controllo della partita, poi colpisci. La Spagna d’altra parte è sommarsi di passaggi, tanti, e qualche tiro, pochi. Ha funzionato a lungo, poi Alvaro Morata ha pareggiato: 1-1.

Da lì è iniziata una partita a tris. Accortezza nelle mosse, gioco in difesa, quasi sempre un nulla di fatto. E infatti è andata a finire ai rigori, dopo due tempi supplementari che hanno generato qualche grattacapo difensivo e nulla più. Dice la statistica che la prima squadra che tira è quella che vince. Come nell’amore, chi primo si stacca dal bacio è l’anello forte della coppia. È andata bene anche questa volta. Jorginho è vero che non tira mai, ma dal dischetto ha azzeccato tutto. Rigore decisivo e finale conquistata. Contro chi si vedrà, non ha importanza.

È andata bene, molto. La palla del rigore decisivo è finita in rete lenta lenta, un sospiro infinito. Degna conclusione di un partita lunga, troppo lunga.

L’Italia ha avuto paura, più per antichi fasti, che per cronaca recente. S’è costretta al rincorrere, ha deciso di non dare continuità all’incipit manciniano, quello dell’imposizione del gioco come necessità. E senza nemmeno la consolazione della grinta di Oriali, Benetti e Gattuso, quella che molto spesso dava la carica anche ai virtuosi del pallone. I medianacci se la passano male. Menare a centrocampo era un vanto, non lo è più. E da parecchio. Meno lavoro per l’arbitro Brych, degna revisione tedesca del nostrano Jimmy Ghione.

Chi vince però non ha colpe, tutto è perdonato. Funziona così.

La finale è conquistata e tutto il resto non importa. Forse è stata l’Italia più distante da quella progettata da Mancini. Ce ne faremo una ragione.

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