Photo/Hassan Ammar

Il Foglio sportivo - Storie di storie olimpiche

Adesso che i Cerchi si sono chiusi

Mauro Berruto

Le letture sulle imprese dei campioni alle Olimpiadi devono essere prontamente aggiornate con Tokyo 2020. Dove gli Azzurri hanno scritto pagine indimenticabili

Dopo il gran finale olimpico. Dopo una prima settimana dove la domanda più frequente era “perché tutti queste medaglie ‘solo’ di bronzo?” come se si stesse delineando un’incredibile sequenza di occasioni mancate, è arrivata la domenica più indimenticabile della storia sportiva italiana, con due azzurri che si sono intestati il 75 per cento del motto olimpico, appena sottoposto a un simbolico restyle. Marcell Jacobs, il più veloce, si intesta il citius; altius, spetta a Gimbo Tamberi che, in virtù della struggente condivisione dell’oro con Barshim si appropria anche della parte nuova, quel communiter che più di un latinista sostiene non essere la miglior trasposizione di together. Ci manca giusto il fortius, anche se i nostri atleti nel sollevamento pesi hanno portato a casa tre incredibili medaglie, una delle sorprese più liete arrivate da Tokyo. Chiudiamoli, dunque, questi meravigliosi giorni a cinque cerchi con un libro che racconta una storia molto precisa: quella degli olimpionici azzurri, nel senso che questo termine aveva nell’Antica Grecia, l’atleta che riporta una o più vittorie ai Giochi Olimpici.

 

Il libro è di Roberto Condio, Cinque cerchi. Storia degli ori olimpici italiani (Baldini+Castoldi, 2016) ed è stato scritto prima dei Giochi di Rio 2016. Roberto Condio racconta 199 storie (387 atleti, 347 uomini e 35 donne) di medaglie d’oro: dalla prima, quella del Conte Gian Giorgio Trissino nell’equitazione ai Giochi di Parigi del 1900, all’ultima (al momento dell’uscita del volume) di Carlo Molfetta nel taekwondo a Londra 2012. Una cavalcata di vittorie piena di aneddoti che raccontano non solo la storia dello sport, ma quella del nostro Paese. Un libro di ricerca storica sorprendente, dove lo storytelling si incrocia con emozioni fortissime, tanto quelle che abbiamo avuto la fortuna di vivere in prima persona che quelle soltanto lette o immaginate, perché non c’eravamo.

Un libro splendido, che ha un solo difetto, facilmente rimediabile. Dovrebbe prevedere uno spinoff, che ci accompagni a Parigi con l’aggiornamento delle storie d’oro di Rio e di Tokyo. Chiudo questa rassegna letteraria-olimpica con il libro che non può mancare nella biblioteca di qualsiasi appassionato di sport e dei Giochi. Un’icona, un monumento, un lavoro imperdibile: Stefano Jacomuzzi, Storia delle Olimpiadi (Einaudi, 1976). Lo cito nella sua prima edizione in omaggio all’autore, scomparso ormai venticinque anni fa. Stefano Jacomuzzi è stato un accademico straordinario che i più ricordano per il suo commento alla Divina Commedia, testo di costante riferimento nell’insegnamento scolastico. Ha firmato, tuttavia, due lavori epocali per lo sport: una monumentale enciclopedia in tre volumi che si intitola Gli Sport e questo libro imperdibile di ricostruzione storica da Atene 1896 a Monaco 1972 che, come scrive lo stesso Jacomuzzi, vide la luce grazie alle insistenze di un altro intellettuale, critico e storico della letteratura: Guido Davico Bonino. Ne è uscito, nel dicembre 2012, un aggiornamento a cura dei gemelli giornalisti torinesi Giorgio e Paolo Viberti. Acquistate e custodite anche quest’ultima edizione, ma assicuratevi la prima. È, essa stessa, storia nella storia.

 

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