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L'intervista

Dell'Aquila, l'oro del taekwondo. “Cuore, Sud e Bushido: la mia ricetta vincente a Tokyo 2020”

Michele De Feudis

Il campione pugliese, 20 anni, incarna il riscatto del Meridione: “Non basta il talento, i successi si costruiscono con i sacrifici e la dura vita d’atleta”. Da grande aspira a diventare giornalista ma pensa già a Parigi 2024

E’ il volto vincente e genuino del “pensiero meridiano”. Vito Dell’Aquila, classe 2000, ha conquistato la prima medaglia d’oro per l’Italia nelle Olimpiadi di Tokyo nella finale di taekwondo - 58 kg: declina in pieno il vademecum del Sud che si riscatta immaginato dal sociologo Franco Cassano. “Come si diventa campioni olimpici? Nulla è facile - spiega al Foglio -. Ci vogliono tanti ingredienti. Non basta il talento, che solo è una piccola parte del puzzle. Bisogna sudare duramente in allenamento, lavorare in modo intelligente, privilegiando la qualità non a discapito della quantità”. Il campione, gioiello della federazione guidata da Angelo Cito, tra poco si siederà a tavola per il pranzo con i suoi genitori. Il racconto del Giappone però è un fiume in piena, un misto di entusiasmo, determinazione e bushido, ovvero il codice di condotta d’onore dei guerrieri nipponici: “Tutto sta - puntualizza con semplicità - nel fare vita da atleta: alimentazione sana, andare a dormire negli orari decenti, riposare, fare fisioterapia. La vita d’atleta è stressante, e per farla devi avere tenacia e passione”.

 

Vito, con la sua medaglia d’oro e l’aspirazione a diventare giornalista, viene da Mesagne, a pochi passi alla Valle d’Itria, a quindici chilometri da Brindisi e a cento da Bari. “L’immagine indelebile delle Olimpiadi? Non ce n’è una. Ho tantissimi ricordi belli, difficile scegliere. Porterò sempre con me la foto con i cinque cerchi nel villaggio olimpico. Certo, la medaglia è stata importantissima, la volevo con tutto il cuore, ma l’emozione che non dimenticherò mai è legata alla magica atmosfera del villaggio, che ha cancellato tutte le mie ansie… Vorrei già essere alle prossime Olimpiadi”. L’effetto medaglia non altera il profilo improntato all’umiltà: “Ho rivisto le immagini della finale, non per vanità. Ho cercato le sequenze da cui partire per migliorarmi ancora. E in certi primi piani ho riprovato le emozioni forti della gara… L’incontro più difficile è stato proprio la finale, contro il tunisino Jendoubi. L’oro l’ho dedicato a mio nonno che non c’è più, è venuto a mancare il 20 giugno scorso, e ai miei genitori”. Pausa. Le parole di Vito si fermano qualche secondo prima di ripartire: “Devo moltissimo ai miei genitori. Sono contadini, lavorano a giornata nei campi, e coltivano in un nostro piccolo terreno ortaggi. Hanno fatto sforzi pazzeschi per sostenermi e per aiutarmi a realizzare il mio sogno”.

 

Bushido e Sud. “E’ stata dura allenarsi durante il lockdown - aggiunge - perché bisognava tenere insieme la concentrazione e l’attenzione alle tabelle della preparazione. Pensavo sempre all’Olimpiade. Con le palestre chiuse, non mi sono arreso: abitando in periferia ho potuto correre ogni mattina nelle campagne della Valle d’Itria. Poi mi è arrivato il tapis roulant e un manichino. Mi ha aiutato molto mio fratello, mi ha fatto da sparring a lungo”.

 

La dedizione al lavoro sportivo lascia anche spazio alle battute: “Ora mi chiederà perché il mio soprannome in nazionale è “Cavaliere nero”… Allora, sono un ragazzo tranquillo ma sul quadrato, secondo i miei compagni, mi trasformo. Insomma come raccontava il grande Gigi Proietti, quando c’è da combattere ‘è meglio non romperme er c…’ ”. E giù risate. La strada per Tokyo è stata lunga: "Fino al 2019 mi allenavo tra Roma e Mesagne, qui in Puglia con il maestro Roberto Baglivo (direttore della palestra New Marzial, fucina di stelle come Carlo Molfetta). Poi da due anni sono stabilmente all’Acqua Acetosa, con il maestro Claudio Nolano”. Un tributo ai suoi maestri: “Baglivo mi ha cresciuto, mi ha dato protezione. Con Nolano c’è complicità: lui è la mente e io il braccio, tocca i tasti psicologici giusti, è un grande coach”.

 

Dell’Aquila, insieme a Massimo Stano e Antonella Palmisano è icona della Puglia a cinque cerchi. C’è un segreto dietro i successi degli atleti di questa terra? “La realtà del Sud è più difficile rispetto al Nord. Noi meridionali pensiamo meno alle frivolezze, e i risultati si vedono nello sport, che è la metafora della vita. Abbiamo senso del sacrificio”, sentenzia il Cavaliere nero di Mesagne.

 

E il Sud che si rialza e vince è un refrain della conversazione. Mesagne era una delle città epicentro della Sacra corona unita, ora è la capitale del taekwondo mondiale: “Diventare un esempio per i miei giovani concittadini? Spero che la mia medaglia dia a loro la forza di lottare per realizzare i propri sogni”. Dell’Aquila ne ha già uno nuovo da conquistare: “Penso al prossimo mondiale ma il mio obiettivo è tornare a vincere a Parigi 2024. La prossima settimana potrei riprendere ad allenarmi a Roma”.

 

Gli ultimi flash sono quelli di un meraviglioso ragazzo pugliese di vent’anni: “Per distrarmi dalla tensione degli allenamenti ho visto tante serie tv, ma amo soprattutto i film di Checco Zalone. Mi farebbe piacere conoscerlo…”. I programmi per agosto? La risposta è tutto cuore: “Mi aspettano settimane intense. A mare vado poco, anche perché in questo periodo i miei genitori lavorano. Mi piacciono alcune spiagge pugliesi, vado a Torre Lapillo o a Punta prosciutto sullo Ionio, ad Adani sull’Adriatico. Ecco voglio godermi i ritmi lenti di casa, vorrei riassaporare la pasta al forno che faceva mio nonno… Una fidanzata? Per ora non c’è, sono sempre in viaggio tra Roma e Mesagne, ma spero arrivi presto”.

 

Cuore, Sud e Bushido. Il congedo di Vito Dell’Aquila: “A chi mi chiede cosa trasmette il taekwondo, rispondo così: è un’arte marziale che dà disciplina”. E con la disciplina si può assaltare il cielo e vincere anche partendo da Sud.

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