A casa della mamma di Marcel Jacobs (foto LaPresse)

Le Olimpiadi, orgoglio di casa

Arnaldo Greco

Le medaglie nel riflesso della stampa locale, wonderful world

Che i primi giorni dopo la fine delle Olimpiadi siano tristi, è noto. E che agosto sia particolarmente capace di accentuare la malinconia pure. Così le gare sembrano già lontanissime, le tv hanno immediatamente ripreso il loro dimesso palinsesto. Gli “altri sport” sono già spariti, solo il tremendo calciomercato si profila all’orizzonte e – più di ogni altra cosa – sono già spariti i titoli di giornali locali che rivendicano quanto le medaglie della Giamaica appartengano anche a Lignano Sabbiadoro, visto che gli atleti si allenano lì. Niente più quotidiani locali a computare che la Puglia ha raccolto meno ori della Lombardia, però in rapporto alla popolazione sono di più. Niente siti che ricordano che quel marciatore ha frequentato le superiori in città e quindi la medaglia appartiene un po’ a tutti. Basta paesini che si autocelebrano  “dietro quell’oro”, basta bronzi “targato Campania” o “motore nord-est nel quartetto dei record”. 

Niente più “è un nostro concittadino il meccanico del team Usa”, “tecnologia altoatesina dietro l’oro italiano per cento metri piani” o ancora Giussano che esulta perché “Filippo si è allenato qui” e “Cremona olimpica: nostra provincia prima in Italia per medaglie d’oro”. Basta medaglie col “sapore di Brianza” e “oro svedese dell’equitazione parla anche friulano”. Niente più sindaci che ringraziano il concittadino osteopata che avendo curato un olimpionico due anni prima è diventato piccola parte della sua vittoria. Ma che dico piccola parte, parte integrante, artefice, i meriti dell’uno non possono essere nascosti, né sminuiti, ma vanno esaltati, celebrati  (dedichiamogli una palestra!) perché in fondo è una vittoria di entrambi. 

 

(foto LaPresse)

Mai quanto quest’anno gli atleti hanno ringraziato il proprio staff – medici, nutrizionisti, mental coach, motivatori, psicologi, tecnici  e via dicendo, fino a includere la propria comunità e la propria cittadinanza – nelle interviste di rito che seguono le vittorie il che non può essere solo una formula trita subito diventata di moda, ma significherà sicuramente qualcosa in più, che la solitudine dell’atleta viene colmata con un lavoro di gruppo. Ma questo gruppo nel racconto della stampa locale è diventato sempre più largo. Un quotidiano di Benevento ha rivendicato le origini sannite dell’allenatore svizzero che aveva aiutato i marciatori italiani a conquistare l’oro e poi ho letto un quotidiano di Latina rivendicare pressappoco la stessa ascendenza sullo stesso allenatore. E non importa chi abbia ragione, potrebbero anche averla entrambi, quello che conta è il mito, che davvero come nell’antica Grecia diverse città rivendicavano i natali di quell’eroe o di quel Dio – Omero era conteso da almeno sette città – così adesso Benevento e Latina litigano (vabbè, quasi) per le origini dell’allenatore. 

Ho cominciato a raccogliere quasi per scherzo, un gioco con alcuni amici, tutte le fanfaronate dei giornali locali all’inizio delle Olimpiadi, screenshot condivisi su Instagram con titoli pieni di “un oro nato pure a”, “c’è anche un po’ di”, “una medaglia made in”, “è di Caserta il nutrizionista di” e poco alla volta sono diventati un corpus immenso che racconta qualcosa. C’è l’affetto dei paesini dimenticati (quelli che non consideriamo belli neanche per le passeggiate), le province di cui vediamo la sigla solo se facciamo l’enigmistica, l’orgoglio di chi tira avanti un’attività sportiva in mezzo a mille difficoltà, spesso in posti dove certe palestre sono viste ancora come estrosità da tollerare piuttosto che aiutare. Certo ci si legge pure la solita smargiassata di chi quando parla della propria squadra di calcio usa il plurale: come se tifare lo rendesse impegnato in prima persona e autorizzato a gioire o rimanere deluso come un protagonista, ma c’è pure la tenerezza per un figlio, spesso andato via come tanti altri figli di quelle province, per trovare fortuna altrove, magari in un posto più grande. 

 

Un’amica mi dice che le prime foto che ho raccolto di “orgoglio locale” lasciavano trasparire un po’ di cattiveria, mentre alla fine mi sono lasciato trasportare dalla comprensione e sono diventato affettuoso. Ma forse, al solito, sono proprio le Olimpiadi a fare così. Pensi di boicottarle, che sono svendute alla pubblicità, che forse col Covid non era il caso e che quest’anno non cederai alla retorica e poi, alla fine, sei lì che aspetti di sentire la mamma di Desalu, di vedere un pezzo di Tuscia Web che celebra le quattro medaglie di Orte, di leggere che Oristano è pazza di gioia o che il tale è il “guru” della velocità azzurra e quindi noi di Caserta dobbiamo essere felici: questa medaglia è anche nostra. 

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