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L'intervista

Dietro Jacobs e i cinque ori. Com'è nata l'atletica dei record a Tokyo 2020

Francesco Gottardi

A Rio 2016 chiudevamo senza medaglie invidiando il lavoro degli altri. “Oggi invece la Francia ci fa i complimenti”, racconta Andrea Giannini, nello staff tecnico del Team Italia in Giappone. Una storia di squadra, programmazione e condivisione

È stata l’Olimpiade dell’inimmaginabile. Nel male, l’anno di ritardo, gli impianti vuoti e i podi mascherati. Ma anche nel bene. Una cartolina su tutte: Marcell Jacobs e Gianmarco Tamberi che si sciolgono nell’abbraccio perfetto. La corsa più veloce e il salto più alto. In mezzo, il tricolore. “E sugli spalti noi, compatti, in lacrime, dai tecnici al personale sanitario: il Team Italia al completo perché sapevamo che qualcosa di grande sarebbe successo. Magari non l’apoteosi, ecco”. Invece in un attimo il mondo si è dovuto accorgere dell’atletica azzurra, dal dubbioso stupore agli applausi a senso unico. Perché alla fine dei Giochi i nostri ori sono cinque, come mai erano stati in una singola edizione. Solo gli Usa, a Tokyo, ne hanno conquistati di più.

 

Da dove nasce il capolavoro firmato Fidal?

Un passo indietro, il borsone pronto per il Giappone: Andrea Giannini, ex saltatore con l’asta di livello internazionale – “Sydney 2000 doveva essere la mia Olimpiade, poi, quell’infortunio…” – è Advisor per la disciplina e fra i sette capisettore dell’atletica che accompagnano gli Azzurri a Tokyo. Prima di partire saluta con un post profetico: “Felice di lavorare in una delle Nazionali più forti di sempre”. Oggi racconta al Foglio: “Le premesse c’erano, per quello che avevamo sotto gli occhi fin dal training camp di Tokorozawa: un gruppo di atleti con grandi leader e niente primedonne, affiatati tra loro, staff tecnico e allenatori. I risultati sono il frutto di questa contaminazione positiva. E di una solida organizzazione”.

 

Un po’ di numeri. L’atletica italiana era reduce dai primi Giochi all’asciutto di medaglie dai tempi di Melbourne 1956. A Rio si presentava con una delegazione di 38 partecipanti. A Tokyo sono stati il doppio: 76. Il momento di maggior smarrimento fu agli Europei del 2018 a Berlino. Poche certezze, pochi podi. “Poi l’arrivo di Antonio La Torre da direttore tecnico della Fidal ha cambiato le cose e insieme al vice Roberto Pericoli si è inaugurata una stagione di grandi novità”, spiega Giannini. “Nel segno del delegare, un lavoro di filtro continuo con allenatori e collaboratori di specialità in un’ottica di massima condivisione delle decisioni. Gli investimenti della Federazione ci sono stati, però mirati e circostanziati. In questo, c’è da dire, ha influito anche il grande lavoro fatto a suo tempo da Stefano Baldini nei settori giovanili e poi proseguito da Tonino Andreozzi”.

Lo hanno notato anche all’estero: “Fino a un paio d’anni fa invidiavo molto il modello dei francesi”, dove gli staff tecnici sono dipendenti statali e professionisti. Ma è anche un sistema cristallizzato: “Oggi la situazione si è ribaltata. Ci siamo professionalizzati non sul piano normativo, ma attraverso un passaggio di responsabilità e competenze. Con ruoli dinamici e reattivi alle esigenze degli atleti: qualche giorno fa ho incontrato il mio omologo di Parigi. E mi ha fatto i complimenti, ammirato. Il numero e la diversità di queste medaglie rispecchia la programmazione che c’è dietro”.

 

A partire dai fuoriclasse. “Quello che mi piace di più è il percorso di questi ragazzi”, sottolinea Giannini. “Marcell e Gimbo sono due ‘sopravvissuti’ a infortuni e avversità, capaci di rimettersi in gioco dopo rinunce e tante fatiche”. Un paio di esempi: “Domenica 1° agosto Jacobs ha vinto i 100 metri piani. Lunedì mattina alle 7:30 era già dal fisioterapista per preparare la staffetta: ‘Ancora non mi rendo conto’, continuava a ripetere, ‘ma ora devo pensare alla prossima’. Mentre Tamberi la sera si sedeva con noi dello staff, che era più un tavolo di amici: un po’ di chiacchiere per stemperare la tensione, il racconto di tutta la meticolosità che ci stava mettendo, dal piano di alimentazione al mental coach. Formidabile. E poi penso ai due marciatori”, Massimo Stano e Antonella Palmisano, “straordinari nella mentalità e nel modo di allenarsi. O a Filippo Tortu: il campione emerso nel momento del bisogno. Dopo i 100 metri individuali che non lo hanno certo soddisfatto – out in semifinale, ndr –, la 4x100 è stata la gara di quattro ragazzi assatanati, ma soprattutto la sua. L’Italia deve un oro incredibile al suo ultimo scatto, alla capacità di farsi squadra. Basta vedere anche cosa succedeva dietro le quinte fra i vari sport del nostro Team: i sorrisi con Paltrinieri, Tonut e compagni che fino a notte fonda aspettano per le foto Tamberi e la sua passione per il basket. Tokyo 2020 è stata una bolla di entusiasmo scoppiata di gioia ogni giorno di più”.

 

Scorrono le immagini dell’Olimpiade, arricchendo il ritorno a casa. E adesso? “Ha ragione La Torre: bisogna sfruttare questo magic moment lavorando sulle infrastrutture, sui settori giovanili. Perché lo sport è fatto a cicli e l’atletica di oggi è giovane e di talento. In alcuni settori ancora un po’ inesperta, forse: quindi con ulteriori margini di miglioramento”. Quel centesimo di secondo sulla staffetta britannica, intanto, è già un’enormità.