Nico Mannion a colloquio con Meo Sacchetti, coach dell'Italbasket arrivata ai Giochi contro ogni pronostico (ANSA/ CIRO FUSCO)

L'Italia dei grandi maestri

Mauro Berruto

Spesso nell’ombra, quasi sempre determinanti. Se alle Olimpiadi abbiamo battuto ogni record il merito non è stato solo degli atleti ma anche dei loro allenatori. Istruttori certo, ma soprattutto educatori

“Nella vita quello che conta non è essere forti, ma sentirsi forti. Se vuoi qualcosa veramente datti da fare e prendila”. La frase di Christopher McCandless l’abbiamo ascoltata nel film “Into the Wild”, scritto e diretto da Sean Penn e, fra mille citazioni possibili, è quella che meglio si sposa con l’ultimo incredibile mese dello sport italiano. Domani sarà esattamente un mese da quella domenica, iniziata con Matteo Berrettini, primo italiano in finale a Wimbledon e conclusa dalla parata di Gigi Donnarumma. Un mese con in mezzo quaranta medaglie olimpiche e un’altra domenica indimenticabile, quando il re della velocità e quello delle altezze si sono trovati, come in un allineamento dei pianeti, nello stesso momento e nello stesso luogo abbracciati sotto un tricolore. Abbiamo visto imprese di quartetti capaci di velocità supersoniche su due ruote o con un testimone in mano, medaglie (questo sì, un record) da 19 discipline diverse. Un mese pazzesco, fino all’ultimo acuto, quello delle nostre ginnaste, in un’edizione dei Giochi Olimpici senza nessun giorno finito a mani vuote. Il nostro paese ha un plotone di nuovi eroi, portati come esempio dalle istituzioni, dai politici, dai commentatori, dagli addetti ai lavori. Storie di fatica, di caduta, di rinascita in un periodo difficile come non mai.

 

Come è stato possibile tutto ciò? La risposta è più banale di quanto sembri: grazie allo sforzo individuale e collettivo di quelle atlete e atleti meravigliosi, certamente, ma anche grazie ai loro Maestri. Già, Maestri, con la maiuscola. Ci sono alcune discipline che chiamano, meravigliosamente così i loro allenatori, Maestri. Sono coloro che le medaglie non le ricevono, che qualche volta non sono neanche lì, di fianco al proprio atleta, perché il lavoro lo hanno fatto prima e lo hanno, paradossalmente, esaurito facendolo diventare il miglior allenatore di se stesso.

 

Questi Giochi Olimpici sono stati, se ancora ce ne fosse stato bisogno, i Giochi Olimpici dei Maestri. Ne cito due che valgono per tutti: Roberto Baglivo da Mesagne (Brindisi) e Lucio Zurlo da Torre Annunziata (Napoli). Due Maestri del sud, il primo mentore di Vito Dell’Aquila, campione olimpico nel Taekwondo, il secondo di Irma Testa, bronzo nella boxe femminile. Gente abituata a fare con ciò che si ha, non a recriminare per quello che non si ha, capaci di tirare fuori il meglio dai loro atleti, partendo da palestre magari dimesse nell’aspetto, ma capaci di trasmettere una dignità impareggiabile. Maestri come Baglivo, come Zurlo e come migliaia di altri uomini e donne nel nostro paese sono coloro che compiono il miracolo di “far sentire” forti i nostri atleti. Indipendentemente dallo stipendio e dalle condizioni trasmettono nozioni tecniche o tattiche, ma prima di tutto ci ricordano la differenza gigantesca che passa tra due verbi che usiamo quasi come sinonimi: istruire ed educare. Se pensiamo all’origine etimologica scopriamo la differenza: istruire (dal latino in-struere) è il gesto di colui che riempie un contenitore; educare (ex-ducere) significa l’esatto opposto: tirar fuori, ovvero riconoscere un talento e creare, intorno a esso, le condizioni affinché esploda.

 

Chiunque di noi, non serve essere olimpionici, se chiude gli occhi per un istante saprà riconoscere volti di persone che, nelle nostre carriere scolastiche, professionali o nella nostra vita personale ci hanno insegnato delle tecniche e sono stati ottimi istruttori. Tuttavia se ripetiamo l’operazione pensando a coloro che ci hanno un po’ cambiato la vita, probabilmente i volti che resteranno a fuoco saranno proprio quelli di coloro che sono stati capaci di esercitare quel secondo gesto, educare. Questi meravigliosi Giochi Olimpici di Tokyo ci lasciano questa eredità: abbiamo bisogno di meno istruttori e di più educatori, e senza alcuna retorica, dobbiamo far sì che a questi Maestri venga riconosciuta l’importanza e la dignità che meritano.

 

Senza di loro sarebbe stata tutta un’altra estate. Senza di loro sarebbe tutta un’altra Italia.

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