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Storie di storie olimpiche

Mauro Berruto

Raccontare i Giochi per renderli leggendari

Tutte le edizioni dei Giochi Olimpici passano alla storia, ciascuna a modo suo, esprimendo i propri campioni leggendari, i propri momenti indimenticabili, le proprie storie struggenti, drammatiche o felici. Qualcuna, tuttavia, più di altre. Tokyo 2020, per esempio, sarà certamente un’edizione difficile da dimenticare, oltre a essere l’unica disputata in un anno dispari. Così nell’attesa di tanti libri che racconteranno questa avventura giapponese ci possiamo dedicare alla lettura di due leggendarie edizioni del passato: Città del Messico 1968 e Monaco 1972.

 

Partiamo da Giorgio Cimbrico, E d’improvviso successe un sessantotto (Absolutely Free Libri, 2018). Cimbrico contestualizza, come d’obbligo, il momento storico: “Il ’68 è un marchio a fuoco, un anno senza fine in cui il potere si sente minacciato da qualcosa che vola nell’aria, dalle parole di un filosofo che parla di una dimensione umana che è stata calpestata, da chi ha deciso di non chinare più la testa, e così la repressione è sempre più dura e tutto è tragicamente pianificato”; non è affatto pianificato, tuttavia, ciò che succede sul tartan della pista di atletica dove sette giorni di gare sconvolgeranno per sempre la disciplina regina dello sport olimpico. Ventiquattro record mondiali, prestazioni che confrontate con quelle di cinquant’anni dopo, ai Mondiali di Londra 2017, sarebbero state ancora sufficienti a vincere o arrivare sul podio nei 100, nei 200, nei 400, nei 400 ostacoli, negli 800, nel lungo, nel triplo e nella 4x400. Cimbrico ricostruisce uno per quei giorni e quei protagonisti con splendida capacità di linguaggio, contaminazioni colte e citazioni mozartiane. Una ricostruzione piena di aneddoti che, oltre alla rivoluzione del salto in alto di Fosbury o alla protesta con i pugni guantati di Tommie Smith e John Carlos, rende omaggio anche alla struggente storia di John Stephen Akhwari, maratoneta della Tanzania, arrivato ultimo e così tardi da dover far riaccendere le luci e il tabellone elettronico dello stadio.

 

Il libro si chiude con delicati ricordi personali di Giacomo Crosa, Gianni Romeo, Giuseppe Gentile e Livio Berruti e con un omaggio a un eroe sportivo per il quale Città del Messico sarebbe stato un luogo magico: Pietro Mennea. Il secondo libro è di Beppe Giuliano Monighini, L’estate della gioia e del terrore. I Giochi di Monaco e il 1972 (Ultra Sport, 2021). Quattro anni dopo i rivoluzionari Giochi messicani arrivano in Germania quelli più drammatici, dopo i quali nulla sarà più come prima. La strage terroristica di Settembre Nero, la morte degli 11 atleti e tecnici israeliani presi in ostaggio nel Villaggio Olimpico (finalmente ricordati nella cerimonia di apertura di Tokyo) è il ricordo che noi associamo ai Giochi del 1972, ma Beppe Giuliano Monighini non ci sta. Quei Giochi lui, bimbo di nove anni, li aveva attesi, immaginati, sognati nella sua Alessandria. La gioia e lo stupore di quel bimbo, quasi cinquant’anni dopo, si trasforma nel racconto non (solo) del terrore, ma dei protagonisti, delle loro vicende umane e dei risvolti del prima e del dopo quel famoso 5 settembre. Probabilmente Monighini ha scritto al se stesso dell’estate del 1972, un risarcimento alle attese tradite da quella violenza, che regala anche a noi una nuova lettura, in cinque atti, dei Giochi di Monaco: l’Olimpiade attesa, l’Olimpiade serena, l’Olimpiade terrorizzata, l’Olimpiade ripresa, l’Olimpiade raccontata. Già, perché ogni edizione dei Giochi Olimpici diventa leggendaria solo quando raccontata.

 

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