Tommie Smith (primo classificato) e John Carlos (terzo) alzano il pugno guantato sul podio dei 200 metri alle Olimpiadi di Messico '68 (foto LaPresse)

Meglio la laicità olimpica

Redazione

La proposta di abolire “Rule 50” che vieta le espressioni politiche e religiose

Tommie Smith è rimasto per cinquantadue anni appeso al suo pugno nel guanto nero di Città del Messico, e alle ingiuste sofferenze che ne seguirono, ed è riapparso ora, che di anni ne ha 76, sul New York Times dei giorni di Black lives matter, per sostenere assieme ad altri una nuova campagna abolizionista. Si tratta della proposta di togliere dalla Carta olimpica la Rule 50, quella che vieta durante le Olimpiadi e nelle manifestazioni tutelate dal Cio l’espressione di idee o temi politici e/o religiosi: “Nessun tipo di dimostrazione o propaganda politica, religiosa o razziale è consentita in qualsiasi sito olimpico, sedi o altre aree”. In sostanza è l’articolo in base al quale lui e John Carlos, altro firmatario della mozione, furono duramente puniti per il loro gesto antirazzista.

 

Il tema non è nuovo, ora è il Comitato olimpico degli Stati Uniti a promuoverlo ma già da tempo federazioni come quella tedesca si muovono nella stessa direzione. La finalità è sacrosanta, sarà poi da vedere se lo zelo dell’applicazione si spingerà a contrastare altri atteggiamenti discriminatori, ad esempio contro le donne, di Comitati olimpici di paesi non propriamente democratici. Ma esistono aspetti un po’ scivolosi, su cui sarebbe utile riflettere, dopo aver reso il dovuto omaggio a Tommie Smith e agli altri perseguitati. Uno è che l’Articolo 50 è un aspetto “coerente” con la filosofia – ipocrita la sua parte, ma nulla è perfetto – delle Olimpiadi. Che vogliono essere un luogo in cui “la politica, la religione, la razza e l'orientamento sessuale sono messi da parte”, come ha detto tempo fa Dick W. Pound, vicepresidente del Cio. L’altro è che la norma è stata pensata anche a tutela della laicità dei Giochi. Che cosa succederebbe, una volta abolita, se una nazione, un atleta, un gruppo di pressione religiosa, fosse di fatto autorizzato a dire la sua su temi extra-sportivi? Se una nazione che esprime una certa religione volesse l’esclusione di un’altra? E se diventassero maggioritari in seno all’organizzazione olimpica i sostenitori del suprematismo bianco? Nessuno, sicuramente, accetterebbe oggi punizioni come quelle in cui incapparono Smith e Carlos. Ma la laicità dei Giochi – libero sport in libere Olimpiadi – sembra un valore da difendere per tutti.

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