Federica Cesarini e Valentina Rodini hanno vinto l'oro nel canottaggio a Tokyo 2020 (LaPresse)

Il foglio sportivo

Così si costruisce una posizione vincente nel medagliere

Moris Gasparri

Non bastano spirito olimpico e desiderio agonistico. Servono politiche pubbliche e investimenti mirati. Gli esempi all’estero e un’idea per l’Italia
 

Mentre lo spirito olimpico unisce e affratella, il medagliere al contrario spezza l’unità, facendosi specchio del mondo diviso delle “individualità universali” che sono gli stati, con il loro portato di inimicizie e rivalità. Questo in fondo racconta la sua storia, a partire dalla Guerra Fredda che, soprattutto per mano sovietica, ne fece un ulteriore terreno della grande battaglia tra sistemi politico-ideologici, dando anche a qualche satellite di Mosca l’illusione di contare nella realtà politica tanto quanto in quella effimera delle gare, come racconta la vicenda della Germania Est e delle sue allucinazioni chimico-sportive. 

 

Addirittura la Cina esplicita nei documenti ufficiali il primo obiettivo strategico di ogni sua spedizione olimpica: arrivare davanti al Giappone, per “vendicare” le ferite mai del tutto sopite dell’invasione del 1937. Il medagliere si lega anche in un altro modo alla politica degli Stati: fare brutta figura produce una lesione dell’onore e della reputazione nazionale che spesso provoca effetti politici sullo sport. La Francia che chiuse senza ori a Roma 1960 scatenò la furiosa reazione del Generale de Gaulle, onta nazionale da cui partì l’intensificazione dell’investimento pubblico francese nello sport, con specifica attenzione al quello di alto livello e alla formazione di una “classe atletica” vincente.

 

Lo stesso accadde all’Australia dopo i magri risultati di Montreal 1976, probabilmente oggi la nazione più ossessionata dal piazzamento finale nel medagliere e dai calcoli quantitativi per meglio figurarvi, seguita vent’anni dopo dall’Inghilterra scottata dal trentaseiesimo posto nel medagliere finale dei Giochi di Atlanta, chiusi con solo un oro, che richiese l’intervento del primo ministro, John Major, primo autore del piano di investimenti olimpici, che, variamente riaggiornato, consente allo sport britannico di stazionare ormai in pianta stabile ai piani alti del medagliere. Paradossalmente è la potenza politica egemone a livello mondiale a non costruire a tavolino il medagliere, nonostante la capillarità delle sue burocrazie: la capacità americana di primeggiare fiorisce in maniera “spontanea” e plurale nelle sue università, senza costruzioni mirate e pianificate, magari governate da federazioni o enti superiori. Però anche per gli americani il medagliere conta, e non poco, se è vero che dopo l’inatteso secondo posto di Pechino 2008 a scapito della Cina i principali media cominciarono a conteggiarlo anche attraverso il criterio delle medaglie totali (dove erano primi). Il medagliere qualitativo “all’americana” comincia a prendere piede, ma nella percezione popolare resta ancora un calcolo da addetti ai lavori, perché solo le medaglie d’oro sono capaci di produrre l’innesco emotivo e popolare che rende la vittoria dei propri connazionali uno straordinario moltiplicatore di energia socializzata.

 

Come si costruisce una posizione nel medagliere? Attraverso il desiderio agonistico, ma anche attraverso la potenza, economica, tecnologica, amministrativa, scientifica. Qui vale la pena spendere qualche riflessione utile anche in prospettiva italiana, tema che riprenderemo la prossima settimana. Premessa: bisogna aspettare la fine per poter valutare, siamo ancora agli “exit poll” olimpici per il momento, mancando la seconda settimana di gare. C’è però un aspetto importante da sottolineare, che in Italia si fatica a cogliere. Togliendo nazioni di taglia troppo grande e non comparabile alla nostra (Usa, Cina, Russia), o nazioni che godono dei numerosi vantaggi agonistici connessi all’ospitare i Giochi (Giappone), quasi tutte le altre nazioni che al momento ci sopravanzano non vedono nel posizionamento nel medagliere una verità da scoprire nel processo dei Giochi, ma qualcosa da “costruire” prima con politiche pubbliche mirate e con investimenti adeguati, non solo nello sport in generale, ma proprio nello sport di alto livello olimpico, attraverso investimenti in impianti, tecnologie, ricerca scientifica, la collaborazione strategica di scuole e università, la contrattualizzazione di tecnici stranieri e gli investimenti nella formazione dei propri, unite a una precisa cultura competitiva che spesso privilegia determinati sport; fattori essenziali dato l’aumento generale della concorrenza internazionale che si registra da 20 anni a questa parte a ogni edizione.

 

Inghilterra, Francia, Olanda (caso-studio di cui si parla troppo poco ma molto interessante), Canada, Corea del Sud, Australia: tutte nazioni, pur con varie differenze, accomunabili da questo punto di vista. Il medagliere fa parte delle politiche pubbliche, e consente anche una misurabilità degli investimenti effettuati. È tempo di ragionarci anche in Italia?


È l’elemento a cui nessuno saprebbe rinunciare in queste giornate: bussola quotidiana degli appassionati sportivi, presenza fissa e decisiva per siti e media, rovello algoritmico di statistici e matematici, eccitati dalla possibilità di prevederlo aggirando le numerose ineffabilità di cui lo sport è costituito e intessuto, cartina al tornasole delle ambizioni di atleti, tecnici e dirigenti sportivi, e dietro a loro dei governanti che avallano investimenti pubblici in loro favore, mediazione tra spirito aristocratico degli antichi (che negli agoni sacri premiavano solo i vincitori, disprezzando gli sconfitti) e spirito democratico dei moderni, che con le medaglie d’argento e bronzo hanno allargato la partecipazione al potere della vittoria: stiamo parlando di “sua Maestà” il medagliere olimpico. Pochi sanno che il Cio non lo ha mai riconosciuto ufficialmente (anche se da questa edizione compare sul sito istituzionale), poiché contrario all’universalismo che ispira l’olimpismo, un valore dal significato spesse volte retorico, ma che celebrando l’unità del genere umano in un pianeta popolato da quasi 8 miliardi di persone possiede un valore storico-culturale accresciuto rispetto a un secolo fa, quando gli abitanti erano circa due miliardi.

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