Christopher Froome ccon Ian Stannard (a sinistra) e Geraint Thomas (destra) festeggiano con una birra la vittoria del Tour de France 2016 (foto Ansa)

abbuffata post lockdown

Tutta la birra che serve per seguire il ciclismo quest'anno

Giovanni Battistuzzi

Corse senza (o con pochissimo) pubblico, a volte in contemporanea. Sino a fine ottobre gli appassionati di questo sport passeranno ore sul divano. Con il frigo pieno di bottiglie

L’espressione “andare a tutta birra” non si sa bene chi l’abbia usata per primo, ma si continua a dire. E’ una di quelle cose entrate nel gergo e che dal gergo ogni tanto salta di bocca in bocca, almeno dall’Ottocento a oggi. Leggenda vuole che fosse nata tra i carrettieri, ché all’epoca pensavano che la birra fosse nutriente, energetica e permettesse di affrontare al meglio le fatiche che il mestiere imponeva. Le giustificazioni per le bevute portano con loro, da sempre, teorie bizzarre e talmente radicate da assumere le forme di verità incontrovertibili. Ancora oggi, se si chiede a uno qualsiasi dei ciclisti della domenica, che si affannano sulle biciclette in cerca di libidine pedalatoria, quale sia il miglior modo per riprendere i sali minerali lasciati sull’asfalto (e sulle tutine), la maggioranza risponderà: una birretta fresca. Il corollario è sempre il solito: contiene potassio e altre cose che fanno bene. Poco male se la scienza non è totalmente d’accordo. La scienza la si lascia volentieri ai professionisti. E questo perché, volenti o nolenti, la birra ci sta, soprattutto ci vuole.

  


Zdenek Stybar sul podio della E3 Harelbeke del 2019 (foto Ansa)


 

Serve ai bordi delle strade per ingannare l’attesa dell’arrivo della corsa. Serve al lato dei nostri divani per gustarci le corse di ciclismo. A volte serve soprattutto a chi sta accanto a noi sul divano per dimenticare le corse di ciclismo. Perché molto spesso accade che mentre noi appassionati ci esaltiamo per uno scatto o per una volata, chi con noi ha deciso di condividere l’esistenza sia già precipitato in un sonno profondo e maltoso.

  

Di birra ne servirà molta in questa estate e in questo autunno. Perché ciò che la pandemia ha tolto, cioè quasi cinque mesi di corse, il ciclismo ha deciso di restituire, tutto insieme. E dato che il pubblico per strada non lo vuole nessuno – né gli organizzatori, né tanto meno i sindaci, sia mai che scoppi un bubbone di focolaio – non ci restano che i divani, i frigo pieni e le bottiglie vuote. Una riedizione del fantozzistico “frittatona di cipolle, familiare di birra gelata, tifo indiavolato e rutto libero”, magari senza frittatona di cipolle che a metà pomeriggio, l’orario delle dirette tv delle corse ciclistiche, può risultare indigesta o fuori luogo, specie in tempi come questo dove anche le cipolle devono essere gourmet.

 

 

Il problema, perché c’è un problema, è che in questa restituzione del maltolto tocca fare una selezione, oppure trasformarsi in registi televisivi, applicare su se stessi ciò che nessuna persona vorrebbe fare: diventare multiprocessuali, che in pratica sarebbe il multitasking, ma in italiano fa capire meglio e più chiaramente la necessità di moltiplicare i processi di elaborazione delle immagini e delle notizie. Perché di immagini e di notizie a volte ne arrivano, se va bene, almeno da due corse.

E’ successo ieri: da una parte la prima tappa del Giro del Delfinato, un anticipo alpino (ieri in scena sul Massiccio centrale) del Tour de France – ha vinto ancora Wout Van Aert dopo Strade Bianche e Milano-Sanremo –; dall’altra il Giro del Piemonte, che dal 2008 si chiama Gran Piemonte, ma è lo stesso, e che è una classica italiana che si corre sin dal 1906. Fortuna ha voluto che gli arrivi fossero sfasati temporalmente di almeno un’ora. Ma non sempre andrà così.

 

 

Succederà domenica: da un lato il Giro di Lombardia, dall’altra la Dwars door het Hageland, debutto post Covid sul pavé. Accadrà ancora più avanti. L’apice si toccherà il 25 ottobre, quando contemporaneamente andranno in scena la cronometro finale del Giro d’Italia, l’arrivo in salita sul Tourmalet della Vuelta di Spagna e la Parigi-Roubaix.

In questa abbuffata di ciclismo qualcosa lo si dovrà per forza perdere. Perché se nel calcio la contemporaneità delle partite è stata cosa scontata per decenni e decenni – ora lo è un po’ meno ma è colpa dei diritti tv –, per il ciclismo invece questa è una quasi novità. Almeno per quanto riguarda le grandi corse. Gli appassionati di questo sport d’altra parte sono abitudinari. Sanno che ogni stagione ha la sua corsa, ogni mese la sua peculiarità ciclistica. Va avanti così da sempre. E per fare adeguare ai cambiamenti un abitudinario c’è solo un modo, il solito: bere a tutta birra.

Di più su questi argomenti: