Un'immagine dello stadio Marassi senza pubblico lo scorso 8 marzo giorno della gara tra Sampdoria e Verona (foto LaPresse)

L'attesa del ritorno del calcio e i rimpianti inaspettati

Jack O'Malley

Non si ricominci troppo presto, ma lasciateci dire quanto ci manca e quanto amiamo questo sport

Chi lo avrebbe mai detto che saremmo finiti a rimpiangere le polemiche sul Var, le discussioni su chi sia più forte tra Ronaldo e Messi (sembrano preistoria, vero?), gli insulti all’avversario che ruba. Chi lo avrebbe detto che ci sarebbero mancate le curve piene, gli ultras in trasferta, persino certe homepage dei giornali sportivi, adesso che alla seconda notizia ci danno il bollettino aggiornato dei contagiati e alla prima un’intervista all’ex campione di turno che racconta di quanto sia dura stare a casa ma sia anche la cosa giusta da fare. Non cercherò dove trasmettono le partite del campionato bielorusso, però, a tutto c’è un limite e anche l’amore creduto scontato esige bellezza. Non penso mi basterà neppure la Bundesliga che forse riparte prima degli altri, non rivedrò la Premier League ancora per molto tempo, e neppure il mio pub. Ho ottime scorte di birra e brandy a casa, mi illudo servano a lenire l’attesa.

 

Non spingo perché si ricominci a giocare, non so nulla di virus ed evito di dirlo dal momento che sono circondato da molti virologi sui social. So che mi manca, però, e che le beghe sul taglio degli stipendi ai calciatori mi toccano fino a un certo punto, che è bello vedere l’impegno di tanti calciatori e leghe e federazioni che aiutano la ricerca sul virus, ma insomma il loro mestiere è un altro e speriamo tornino a farlo in fretta. Non so se diventeremo migliori o peggiori, se il calcio diventerà metafora del volersi bene e trasmetterà il virus della fratellanza e della solidarietà, se le tifoserie nemiche smetteranno di cantare cori contro e applaudiranno gli avversari, se tutto insomma diventerà una mastodontica ma inevitabile palla. Certo, mai palla quanto l’inevitabile, anche qua, momento amarcord che stiamo vivendo, con repliche di partite ed eventi sportivi del passato a ogni ora, come se potesse bastare.

 

Siamo fatti per il presente e per l’attesa della prossima partita, per i gol inaspettati al 90’, per le rimonte che sono sempre “epocali”, per il rigore parato, per la rete in rovesciata che riscatta e salva. Non reggeremo a lungo i pur bei ricordi dei giornalisti sportivi su Twitter, le interviste agli ex sempre più ex, gli allenamenti in giardino, le dirette Instagram in cui il campione irraggiungibile si rivela essere un coglione della porta accanto (ma con un appartamento più bello del nostro), oltretutto inutile senza pallone tra i piedi. Eppure come sembrano vuoti e illusori gli articoli sul calciomercato, i retroscena sul prossimo allenatore del Milan, i rinnovi di contratto ai giocatori in scadenza, le ripicche di chi vuole vedersi assegnato lo scudetto e l’indignazione di chi giustamente dice che no, viene prima la salute (e la palla tanto è rotonda). Confesso che l’idea delle partite a porte chiuse mi dà più angoscia di un brindisi con un bicchiere d’acqua. Non sarà momentaneo ma lungo, anche se gli ottimisti ci dicono che torneremo a riempire gli stadi e gioire abbracciati per un gol. È giusto, non bisogna avere fretta, lo sport è la cosa meno importante di quelle importanti. Adesso ci sono i morti, gli ospedali pieni, la gente che sta male, possiamo ben fare il sacrificio di riguardarci Liverpool-Barcellona di un anno fa in Champions, mentre aspettiamo che la birra in frigo si raffreddi. Purché serva a ricordarci perché amiamo questo fottuto e maledetto sport.

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