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La Spoon River dello sport

Umberto Zapelloni

Da Donato Sabia a Pape Diuf. Le gesta e i volti che il coronavirus si è portato via

“A nessun funerale mai / L’amore non si sotterra”. I versi di Ezio Vendrame, genio, ribelle e poeta del nostro calcio si adagiano come lenzuola bianche su queste giornate infette che ogni giorno ci portano via qualcuno. Lo sport come ogni settore ha la sua Spoon River, le sue tracce di memoria da non scordare. L’Ezio che palleggiava dallo stadio al centro di Vicenza e dava appuntamento per le interviste sulla tomba di Pier Paolo Pasolini, è stato il più celebrato tra gli sportivi rapiti dal coronavirus. Ne avrebbe sorriso anche lui. Anche se c’è poco da ridere a leggere l’elenco che qui comincia, ma purtroppo qui non finisce.

 

Roberto Angiolini (83 anni). Ha provato a correre lui, ma poi ha capito che avrebbe avuto molto più successo a far correre gli altri. Così Roberto Angiolini ha ereditato dal padre il Jolly Club, mitica scuderia rallistica milanese e ha affidato le sue auto ai più grandi campioni della specialità. Lui li scopriva, li sgrezzava, poi li passava ad altri: Sainz, Biasion, Auriol, Cerrato, Alex Fiorio, Zanussi, Aghini. Hanno tutti sgommato, derapato con lui che gestiva quello che in pratica era lo junior team della casa madre torinese di cui poi prese il posto dal 1992 quando la Lancia lasciò ufficialmente i rally. Gli archivi parlano di dieci mila vittorie in giro per il mondo. Un po’ come gli amici che lo hanno sempre adorato, così come gli avversari lo hanno sempre rispettato.

 

Donato Sabia (56 anni). Era il Mennea del mezzofondo. Arrivavano entrambi dal sud, lui dalla Basilicata, Pietro da Barletta. Correva gli 800 metri e lo ha fatto bene ai Giochi di Los Angeles (5° a poco più di mezzo secondo dal bronzo) e di Seul (8°) e benissimo all’Europeo indoor di Göteborg ’84 dove ha conquistato l’oro. È stato anche primatista del mondo per 29 anni di una distanza insolita: i 500 metri. Doveva prendere a sportellate gente come Sebastian Coe e il brasiliano Cruz, una volta ha battuto anche il mito Juantorena. Il tutto standosene sempre ben lontano da chi gli suggeriva strani cocktail. Se gli infortuni ai tendini d’Achille solo gli avessero consentito di allenarsi di più… Il virus, prima ha fermato suo padre ottantenne, poi ha fermato lui che non aveva ancora raggiunto quella definita da tutti l’età a rischio. Se ne va senza quel marameo in mondo visione che ci regalò per gioco prima della volata di Seul.

  

Enzo Tinelli (75 anni) . Il professore arrivava da Codogno che per tanti giorni è stata la Wuhan italiana. La passione per la palla ovale lo ha portato a sfidare nebbioni e strade gelate per salire al Cus Milano, dove ha giocato, parlato, spiegato e allenato. I suoi ragazzi lo hanno visto come un padre, come un fratello e quando lui diceva “sono un lagunare me la caverò”, gli avevano creduto. Lo hanno placcato prima che riuscisse a rimettersi in piedi. A tradimento, come i rugbisti veri non fanno mai.

  

Francesco Azzolari (76 anni). Non aveva mai giocato con la palla ovale in vita sua, ma del rugby si era innamorato nel 1981, accompagnando al campo suo figlio Sergio. Gli si aprì un mondo, ma lui ricambiò aprendo al Rugby Milano prospettive nuove con la sua passione, la sua pignoleria, il suo entusiasmo. Dirigente del suo club, presidente del comitato lombardo della Federazione, e alla fine consigliere federale. E senza di lui non sarebbe nato il nuovo campo all’Idroscalo, la casa del Rugby Milano che era il primo ad aprire ogni mattina.

 

Carly Neal (77 anni). È uno tra i cinque Harlem Globetrotters a cui è stata ritirata la maglia. Tra gli altri c’erano Wilt Chamberlain e Meadowlark Lemon, tanto per capire. La sua era la numero 22, e per 22 anni era stato uno dei giocolieri della squadra più spettacolare del mondo, giocando in 97 nazioni circa 6mila partite. Era l’Harlem pelato negli anni in cui erano tutti capelloni. Poi, smesso di giocare, ha cominciato a doppiare i cartoni animati dedicati alla sua squadra e a recitare nelle serie tv Time Out, Love Boat e Superboy.

 

Angelo Rottoli (61 anni). Lo chiamavano l’Alì di Bergamo perché aveva la castagna e sapeva far male anche se era troppo piccolo per essere un peso massimo come Clay. Portava i capelli lunghi anche sul ring dove era stato cinque volte campione d’Italia, una volta campione d’Europa, fermato mentre stata prendendosi il mondo dal portoricano Carlos De Leon nell’unica notte della sua carriera in cui fu bloccato per una ferita. Era un uomo della notte, come il suo amico Titta, il mio primo compagno di stanza in un giornale, che ne raccontava le gesta. E che come lui ne è andato troppo presto. L’Angelone aveva cominciato per caso, ma poi buttava giù tutti e ha continuato.

 

Tom Dempsey (63 anni). Nascere senza le dita del piede destro (e della mano) e decidere di diventare un kicker, il calciatore del football americano, è un bel segno di carattere. Dempsey lo ha fatto per 11 stagioni realizzando 159 calci piazzati con il record (imbattuto dal 1970 al 2013) di un un field goal ficcato tra pali da 63 yards (quasi 60 metri) a due secondi dalla fine del match. Aveva visto la sua casa di New Orleans spazzata via da Katrina, la sua memoria spazzata dall’Alzheimer, ma ha lottato fino all’ultima yard.

  

Pape Diouf (68 anni). È arrivato a Marsiglia dal Senegal, ha cominciato facendo il giornalista, poi è diventato procuratore e scopritore di talenti africani, ha finito come presidente dell’OM (dal 2005 al 2009), primo dirigente di colore del calcio francese. Ha riportato in alto il club sino a condurlo di nuovo alla vittoria del campionato nel 2010, dopo 17 anni senza titoli.

  

Lorenzo Sanz (76 anni). Per cinque anni è stato il numero uno della Casa Blanca de Spagna, il presidente del Real Madrid che si riprese la Coppa dei Campioni dopo 32 anni di inferno. Nel suo albo d’oro ci sono una Liga, una Supercoppa spagnola, una Coppa Intercontinentale e due Champions. È stato il primo a portare Fabio Capello sulla panchina madridista. Nel 2005 arrivò vicino all’acquisto del Parma. Dramma nella tragedia, il suo corpo è andato disperso prima di arrivare al cimitero di San Isidro per essere cremato.

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