Ciro Immobile (foto LaPresse)

Patriottismo Immobile

Leo Lombardi

L'attaccante della Lazio è un tipo tranquillo, ma se lo vedi in area di rigore o se qualcuno gli tocca l'Italia, meglio stargli lontani

Una storia su Instagram che ha unito l'Italia intera. Non ci ha pensato due volte Ciro Immobile a replicare a Christian Jessen, una laurea in medicina e una specializzazione in malattie infettive svalutate dalla presenza in show quali “Grassi contro magri” e “Malattie imbarazzanti”, programmi che in Italia compongono la spina dorsale dell'emittente Real Time. Perché, parafrasando Pietro Nenni, a fare a gara a fare il trash, troverai sempre uno più trash che ti sorpassa. E così è stato per Jessen sostenitore, in materia di misure prese per contenere il Covid-19, di conoscere gli italiani e di sapere come “per loro ogni scusa è buona per chiudere tutto, interrompere il lavoro e fare una lunga siesta”. Aveva aggiunto di essere anche un “po' razzista”, rivelandosi invece completamente imbecille. Parole dette quando il Regno Unito si considerava - non si sa bene in base a quali evidenze scientifiche - un'isola ancora felice rispetto alla pandemia e di fronte alle quali Immobile si è trasformato nell'Ugo Fantozzi che si vendicava dell'ennesima visione della Corazzata Kotiomkin, idolo di ogni impiegato vessato. Se per il ragioniere eterno era “una cagata pazzesca”, sul social del centravanti Jessen è diventato una “testa di c*** vallo a dire ai parenti delle persone morte o ai malati che lottano”, completato da un italianissimo “va a cagare”.

 

Perché Immobile è fatto così: un ragazzo tranquillo e un professionista vero, ma cui non devi toccare l'Italia. Per questo era uno dei più abbattuti la sera del 13 novembre 2017, quando lo 0-0 in casa nel playoff con la Svezia ci aveva sbarrato la strada al Mondiale in Russia, come non accadeva da sessanta anni. Una serata imbarazzante come le malattie raccontate dal dottor Jessen, vissuta dal centravanti dal primo all'ultimo minuto, con l'unico merito di scrivere la parola fine alla gestione di Gian Piero Ventura. Immobile avrebbe voluto tremendamente giocare quella Coppa del Mondo, per riscattarsi dell'avventura in Brasile di quattro anni prima. Cesare Prandelli non aveva potuto non convocarlo, forte dei 22 gol realizzati con il Torino, ma aveva commesso l'errore di cucire la squadra a misura di Mario Balotelli, come all'Europeo di Polonia e Ucraina, pagando con l'eliminazione nella fase a gironi e con le dimissioni da commissario tecnico. Immobile aveva avuto poco spazio con Prandelli, finendo per averne poco anche con Antonio Conte, complice una involuzione personale nelle avventure all'estero (Borussia Dortmund e Siviglia).

 

Decisivo era stato il passaggio alla Lazio, dove Simone Inzaghi ha saputo rimotivarlo, mettendolo al centro del progetto e ottenendo una risposta che il Balotelli di cui sopra non è mai stato in grado di dare, nei club come in maglia azzurra. Di quattro stagioni soltanto quella 2018-19 è stata al di sotto delle righe, se così si può dire di uno capace di segnare 15 gol. Ma erano arrivati dopo due campionati fatti di 23 e 29 reti, logico che avanzassero le critiche dei soliti pronti a crocifiggere chi è in difficoltà. A questi Immobile ha risposto come ha risposto all'improvvido Jessen, con il carattere e l'agonismo che si porta dentro. Doti che lo rendono l'attaccante che tutti vorrebbero avere, non solo generoso ed eccellente nel dare una mano alla squadra, ma capace anche di “vedere” la porta come pochi. Come stava capitando in questa stagione, quando lui e la Lazio hanno finito per ritrovarsi unica alternativa allo strapotere della Juventus, dopo l'eclissarsi dell'Inter. Lazio che è stata la prima a infliggere una sconfitta in campionato ai bianconeri, battendoli successivamente anche nella Supercoppa italiana. Due 3-1 in cui, curiosamente, proprio Immobile non è riuscito ad andare a segno. Ma bastava ampiamente quello che stava offrendo nelle altre partite: 27 reti in 26 presenze, una felicità realizzativa che lo aveva posto sulla strada giusta per battere le 36 di Gonzalo Higuain e aveva convinto il nuovo ct Roberto Mancini ad affidarsi a lui. Il Covid-19 ha per ora bloccato tutto, senza lasciar capire quando il calcio ripartirà. Claudio Lotito è stato, ovviamente, uno dei più strenui sostenitori che si dovesse andare avanti: era troppo preso dal desiderio di puntare al tricolore senza rendersi conto della gravità di ciò che gli stava accadendo intorno. Immobile ha dovuto fermare la sua rincorsa allo scudetto, alla classifica marcatori e alla fase finale dell'Europeo. Ma, pur inattivo, la ferocia è rimasta quella da uomo d'area. Chiedere a Jessen.

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