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il foglio sportivo

Anche il Circo si è fermato

Fabio Tavelli

La figuraccia della Formula 1 che ha provato a resistere fino all’ultimo. Niente GP a Melbourne, per i prossimi si vedrà. Non c’è interesse che tenga

Come gli “ultimi giapponesi ad arrendersi” alla fine anche i baffoni di Chase Carey, il grande boss di Liberty Media rientrato di corsa dal Vietnam, si sono dovuti piegare alla ragione di un Gran Premio d’Australia che non s’aveva proprio da fare. Aggrappati alle loro poltrone lautamente retribuite i padroni del vapore hanno resistito “eroicamente” finché hanno potuto ma poi, non senza aver lottato come leoni, hanno dovuto mollare il colpo. A un certo punto erano rimasti gli unici a voler ostinatamente mantenere il programma previsto, come se niente fosse (o come se fosse Antani, vista la presa in giro che si stava materializzando). Una lunghissima attesa davanti al profilo Twitter ufficiale, che rimaneva laconicamente aggiornato (si fa per dire) con un: “Formula1 e FIA si stanno coordinando con le autorità australiane. La nostra priorità è la salute dei fan, delle squadre e di tutto il personale”.

 

Nelle sit-com americane sarebbero partite le risate registrate in sottofondo, in una nottata ai limiti della farsa con il paddock che si stava popolando per le, teoriche, prime prove libere con gli spettatori ai cancelli che potevano vedere in lontananza gli scatoloni pronti allo sbaracco ma senza uno straccio di comunicazione. Ross Brawn, direttore tecnico ai tempi di Schumi in Ferrari e oggi direttore generale e responsabile sportivo del progetto Formula 1, giorni fa con grande aplomb aveva dichiarato che al primo caso di positività al Covid-19 la bandiera a scacchi sarebbe stata sostituita dalla bandiera rossa di sospensione di tutto il weekend. La “pistola fumante” arrivava dal box McLaren, con la scuderia che aveva immediatamente annunciato che se ne sarebbe tornata a casa un minuto dopo. Quindi? Mega riunione operativa notturna con al tavolo anche il responsabile del dipartimento della Salute australiano. Potete solo immaginare quanto si siano scatenati i colleghi sul posto nel riferire ogni sussurro, ogni possibile interpretazione di un silenzio che a un certo punto era diventato inquietante. Ma cosa dovranno ancora dirsi alle 6, poi alle 7, alle 8 e infine alle 10 del mattino?

 

Il teatro dell’assurdo andava ancora avanti, con tutte le televisioni del mondo, per tacer di siti e social, che davano ormai per certo l’annullamento del fine settimana di Albert Park ma con i famigerati “vertici” ancora silenti e senza un comunicato ufficiale. Geni assoluti quelli di Liberty Media, capaci di siglare questa settimana un contrattone con Saudi Aramco (la compagnia nazionale saudita di idrocarburi diventa così il sesto partner commerciale di F1 dopo DHL, Pirelli, Emirates, Heineken e Rolex) e di fatto spalancare le porte per il prossimo anno a un Gran Premio in Arabia Saudita. Geni anche perché capaci come sempre di vivere in un mondo tutto loro, dove si fanno i processi ma le sentenze vengono sussurrate solo agli imputati e non ai presunti danneggiati, metodo pedissequamente utilizzato anche per i primi casi sospetti, ovvero facciamo i test ma i risultati ve li diciamo dopo la gara. Peccato che stavolta la notizia fosse riuscita a infilarsi nel dedalo delle tagliole difensive diventando pubblica.

 

Ma su cosa si basa questa linea Maginot eretta nei confronti del resto del mondo? Lewis Hamilton l’ha chiamata “dio denaro”. Curioso sia stato proprio quello che guadagna più di tutti a fare la faccetta schifata davanti allo sterco del Diavolo. Ma ormai LH è diventato un mistico e quindi può permettersi di dar lezioni di buona creanza a tutti. Di prendere il jet privato e andarsene, visto che la salute prima di tutto, di lui e degli altri non s’è vista traccia. Si diceva, come ha potuto la F1 (e dunque Liberty Media) tenere così duro? Semplice, perché una delle loro grandi fortune in un momento nel quale tutto viene annullato, posticipato o rimandato a data da destinarsi è nella natura stessa del suo essere. Ovvero lontana. Dalla logica come dalla gente. Per ovvi motivi perché esistono distanze minime di sicurezza tra la folla e coloro che girano sul circuito a velocità pazzesche. Lontani tra di loro sono anche i piloti per altrettanto intuibili motivi. Nell’unico momento di vera socialità tra esseri umani, ovvero al cambio delle gomme, i meccanici indossano caschi integrali e tute ignifughe. Il massimo per evitare ogni tipo di contagio. Va un po’ peggio al muretto, dove direttori tecnici e team principal dovrebbero spruzzare Amuchina sulle spugnette dei microfoni e sulle cuffie, sincerandosi di essere gli unici a utilizzarle (ma pensiamo questo dovrebbe accadere normalmente). Per il resto la tecnologia fa abbastanza per rendere il tutto il più “a distanza” possibile. Li abbiamo presi in giro quando abbiamo scoperto che la maggior parte degli ingegneri durante il gran premio segue la gara in remoto da Maranello o da Brackley e oggi dovremmo invece dir loro bravi, perché così facendo evitano di sussurrarsi in un orecchio “dì a Vettel di spingere di più in curva 4”, oppure: “segnala a Lewis che l’anteriore destra si sta scaldando un po’ troppo”. Insomma, per la Formula 1 questa situazione generata dal rischio di contagio per coronavirus avrebbe anche potuto essere quasi indolore. Addirittura “win-win” per i padroni del vapore, perché il rischio è tutto per chi gestisce gli autodromi. Liberty Media incassa in anticipo sia i soldi dai circuiti che dalle televisioni. A loro interessa principalmente che i semafori si accendano, i motori anche, e che la gara abbia luogo. Porte chiuse? Problema locale, i mancati introiti per la vendita dei biglietti riguarda altri. Porte aperte o porte chiuse non fa nessuna differenza per la trasmissione attraverso la televisione.

 

Diciamocelo francamente, se c’è uno sport dove dal vivo non si capisce nulla questo è la Formula 1. Non vogliamo dire che non sia bello stare in autodromo, fare gruppo con altre persone arrivate da ogni dove, farsi una cassa di birra prima del rombo dei motori e seguire un passaggio dopo l’altro con urla e incitamenti. Totalmente però fini a se stessi e a uso e consumo di chi li fa. I piloti vanno come missili e sentono un frastuono che non può non coprire il pur alto rumore che arriva dalle tribune. Diciamo anche che un motore che li spinge a oltre 300km/h, un volante da governare con una galassia di spie, lucette, pulsanti e manopole da regolare che nemmeno un ingegnere nucleare e la non secondaria necessità di tenere in pista il tutto senza prendere il volo sconsiglia a questi ragazzi di soffermare lo sguardo sul colore delle bandiere che sventolano dalle tribune. Per altro, le uniche bandiere da guardare davvero sono quelle dei commissari per sapere se dietro sta arrivando qualcuno o se dopo la curva c’è un’auto ferma. Al netto della voce dell’ingegnere che aggiorna sull’universo mondo (qui però può funzionare il lodo-Raikkonen: “Leave me alone, I know what I’m doing”).

 

Stiamo sostenendo che la Formula 1 è l’unico sport che può fare a meno del pubblico? Certo che no. Senza la passione delle persone finiremmo per commentare un e-game, una gara alla Playstation non sarebbe troppo diversa. A quelli che sostengono, non senza pezze d’appoggio, che comanda il soldo, è giusto ricordare che ogni bipede che mette piede in un autodromo contribuisce a creare il budget complessivo del giocattolo. Biglietto, birretta, hotdog e gadget da conservare, magliette e cappellini raffiguranti piloti o scuderie. In nessuno sport come la Formula 1 il merchandising va forte ed è oltretutto trasversale. Nessuno, a meno di non aver esagerato con l’alcool, si sognerebbe mai di fare a cazzotti perché Hamilton ha stretto Leclerc o viceversa. Ma diciamo anche che dalla pista la gara non puoi dire di vederla davvero. Senti un gran rumore, anche in èra ibrida, se stai in un buon posto puoi vedere qualche sorpasso, quei pochi che ancora ci sono al netto di quelli con il DRS aperto perché avvengono su rettilinei talmente lunghi che avresti bisogno del binocolo. Ma la gara è qualcosa di diverso. I pit stop li vedi solo in tv a meno che tu non sia con un flute di champagne sopra ai box, ma allora sei molto ricco o hai qualche amico potente, e non è escluso che tu non sia lì per la gara ma per farti dei selfie. Non è un caso che il circuito sia punteggiato di maxi schermi dove viene trasmesso quello che vedono da casa, perché anche chi sta in autodromo sappia chi è davanti e chi no e se vede una Williams davanti ad una Mercedes è perché sta avvenendo un doppiaggio e non si è ribaltato il mondo.

  

Quando i primi fan si stavano avvicinando ai cancelli di Albert Park per iniziare il tanto atteso weekend di Fomula 1, il lungo Conclave finalmente ha prodotto: habemus annullamento. E tutti a casa propria, chi con i mezzi pubblici chi con il jet privato. Per le belle figure ripassare più avanti.

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