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Nella testa di Charles Leclerc

Umberto Zapelloni

Ha solo 22 anni ma è un caso da studiare per come sta costruendo la sua carriera. Fin da quando, poco più che bambino, si presentò con la valigia dal fondatore di Formula Medicine

Charles Leclerc un anno dopo non è più lo stesso, anche se il sorriso e l’educazione non sono ancora andati via. Un anno fa, al momento delle interviste singole in quella che in gergo giornalistico è definita zona mista, Charles restò solo a guardare il cielo. Telecamere, microfoni e taccuini erano tutti attorno a Sebastian Vettel, il caposquadra designato, il quattro volte campione del mondo. Seb non regalava nulla se non sogni di rivincita.

 

Mi avvicinai a Charles che in quattro parole e due concetti mi spiegò la sua filosofia per la stagione che stava per partire, la sua prima da ferrarista: “Io non penso a tutto quello che c’è attorno. Penso solamente a me, alla squadra, al lavoro che dovremo fare in pista e fuori pista però non ascolto le aspettative. Sono sicuro che se farò un buon lavoro, soprattutto in macchina, i risultati arriveranno”. I risultati sono arrivati eccome. Sono andati ben oltre le aspettative. Sette pole, due vittorie, un contratto di cinque anni ad aspettarlo a fine stagione per blindarlo in quello che dovrebbe diventare il suo momento magico.

 


Illustrazione di Francesco Fidani


 

L’altro giorno, in mezzo ai velluti del Teatro “Romolo Valli” di Reggio-Emilia, attorno a Leclerc al momento delle interviste in zona mista non c’era spazio per uno spillo.

 

In un anno la sua vita è cambiata come quella di Julia Roberts quando incontra Richard Gere in Hollywood Boulevard nel film di qualche anno fa che batte tutti i record di ascolto ogni volta che passa in tv.

 

Oggi Leclerc non si sente più chiedere come sopravvivere alla pressione di quella tuta rossa, come reggerà il confronto con un compagno che ha già vinto quattro campionati. Oggi Charles si sente chiedere se può essere definito l’uomo da battere. E lui ha il buongusto e l’intelligenza di rispondere che sarebbe un po’ troppo arrogante e presuntuoso se si ritenesse l’uomo da battere al suo terzo anno in Formula 1, senza l’esperienza di Vettel o di Hamilton. Però poi aggiunge con sicurezza e spavalderia come il suo obbiettivo sia quello di diventare il migliore di tutti, di diventare davvero l’uomo da battere. “Spero un giorno di diventare l’uomo da battere, anzi di diventare il migliore. Tra poco”. Non si sente l’uomo da battere, ma sta lavorando per poterlo diventare al più presto. Se fino a due anni fa il suo obiettivo era guadagnarsi un posto stabile in Formula 1 e l’anno scorso quello di vincere le prime gare, adesso Charles non si pone più limiti. Lavora per diventare campione del mondo. Il problema è che sta attraversando un momento storico della Formula 1 in cui i giovani di qualità sono tanti. Sembra di essere tornati agli anni Ottanta quando stavano sbocciando Senna e Prost. I baby cresciuti a pane e playstation non hanno paura di nulla. Leclerc, Verstappen, ma anche Lando Norris, George Russel, Alexander Albon e Carlos Sainz hanno le carte in regola per diventare attori protagonisti di uno spettacolo che ha bisogno di svecchiarsi anche se non sarà semplice scalzare dal trono sua maestà Lewis Hamilton che in quanto a social, ad esempio, non ha nulla da imparare.

 

Charles ha solo 22 anni, ma può essere considerato un fenomeno da studiare per come sta costruendo la sua carriera passo dopo passo. Charles lavora su se stesso da quando aveva tredici anni e si presentò con la sua valigia da Riccardo Ceccarelli, il fondatore di Formula Medicine. Quando capiva di avere un problema non si voltava dall’altra parte o cercava una scorciatoia. No, si applicava per risolvere quel problema, per capire come evitare che si presentasse un’altra volta. “Ci siamo resi conto che in ogni prova che affrontava, voleva vincere. E quando non ci riusciva o non poteva, si arrabbiava. L’unica limitazione di Leclerc era il carattere. La sua tendenza ad arrabbiarsi e a perdere energia”, ricorda il dottor Ceccarelli. “Charles doveva essere più tranquillo e si è allenato per migliorare. La chiave è l’analisi di se stesso, l’abilità di capire e ammettere i propri errori per superarli. Fuori dalla macchina è umile e amabile, ma in pista è implacabile”.

  

La sua forza mentale è già emersa in alcune occasioni particolari, quando ha dovuto affrontare il vuoto della morte di una persona cara. Pochi giorni dopo la scomparsa del padre Hervé nel 2017 ha vinto una gara fondamentale per il campionato di Formula 2. Il giorno dopo la morte di un amico con cui era cresciuto tra i kart, Anthoine Hubert, lo scorso anno, ha vinto la prima gara della sua vita con la Ferrari a Spa. Sul casco porta sempre il padre e Jules Bianchi, l’amico fraterno che gli ha insegnato i trucchi del mestiere, gli ha presentato il suo manager (Nicolas Todt), gli ha aperto le porte di Maranello. “Ci sono stati momenti che avrei desiderato non vivere – ha detto – ma mi hanno fatto crescere come pilota e mi hanno aiutato. La perdita di mio padre e Jules, due momenti incredibilmente difficili nella mia vita che mi hanno reso più forte come persona e come pilota”. Li ha sempre nel cuore e non smette di ricordarlo anche sui social, come lo scorso anno nell’anniversario della morte del padre: “Ogni buona cosa che mi è successa è grazie a te. Sei andato via ma sei sempre nel mio cuore #Papa”.

 

Individuare i punti deboli e lavorare per eliminarli è esattamente quello che ha fatto quest’inverno. “Per prepararmi a questa stagione ho cercato di focalizzarmi sui miei punti deboli, sulle aree di miglioramento. È un po’ una mia abitudine. Nella passata stagione, dopo le prime tre quattro gare mi sentivo debole in qualifica. Di conseguenza ho lavorato sul giro secco e ho compiuto un bel passo avanti”. Tutto questo dopo che alla seconda gara in rosso era già partito in pole… ma il risultato finale sono state le sette partenze davanti a tutti, quattro addirittura di fila dal Belgio a Sochi.

 

“Ora voglio migliorare il mio rendimento in gara – ha ripetuto in questi giorni – Penso di avere ancora tanto lavoro da fare e margini di crescita. Vettel ha una grande esperienza in gara, più di me. Inoltre con la squadra dobbiamo lavorare sul set up in gara, magari penalizzando le prove per migliorare i risultati la domenica. Cerco di avere un approccio critico nell’analizzare le mie performance. A cominciare dai miei errori, con il fine di non ripeterli. Spesso lo dico alla radio con la massima chiarezza quando faccio errori, mi serve per migliorami, per esorcizzarli. L’errore più grave l’anno scorso l’ho commesso a Baku, andando a muro in Q2, prendendo dei rischi quando non era necessario. L’ho capito e non ho più sbagliato a quel modo. Come ho capito che in Brasile abbiamo sbagliato sia io che Seb. Corriamo uno contro l’altro, ma siamo compagni di squadra. Dobbiamo pensare che in fabbrica un sacco di gente lavora per noi e non merita di vedere i suoi sforzi buttati così, perché non abbiamo tenuto un margine di sicurezza”. Charles non si nasconde neppure di fronte a quello che potrebbe essere uno dei problemi della nuova stagione ferrarista: le liti condominiali con il suo vicino di abitacolo. Charles ha un contratto fino al 2024, Seb è in scadenza a fine stagione. Se Charles è l’uomo del futuro, Seb rischia di diventare in fretta quello del passato. Mattia Binotto ha ripetuto in ogni occasione possibile che partiranno alla pari, saranno liberi di correre uno contro l’altro, ma tutti e due per la Ferrari. Come dire che autoscontri alla brasiliana come quello dello scorso anno a San Paolo non saranno ammessi o giustificati. Charles sa di avere il futuro in mano, ma sa anche che dar per morto Vettel potrebbe essere un errore gravissimo. La stagione scorsa a Singapore, Seb è risorto uscendo dalle sabbie mobili come Superman dalla cabina telefonica. Quest’anno anche Leclerc correrà con una lente d’ingrandimento puntata addosso. Tutti lo aspettano al grande salto. Da uomo del futuro, a uomo del presente. Gli errori non gli verranno più perdonati. “Sapere di guidare una Ferrari per i prossimi cinque anni è grandioso e mi dà fiducia, ma so anche che i risultati non verranno di conseguenza e dovremo lavorare duro”. Perché in Formula 1 l’uomo solo non basta. Servono anche gli altri, quelli che progettano, modellano e costruiscono la macchina.

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