Il talento non basta, bisogna essere Mahomes. Kansas City vince il Super Bowl

I San Francisco 49ers battuti per 31 a 20 grazie a due magie del quarterback della formazione di coach Andy Reid. In Missouri si festeggia (e pure in Kansas dopo la gaffe di Trump)

Leonardo Rafanelli

Un vecchio allenatore, che aspettava questo momento da 28 anni. E accanto a lui, un giovane campione, un predestinato, di quelli che lo stemma della vittoria sembrano avercelo cucito sulla maglietta. Sono loro i protagonisti della fotografia che chiude il 54° Super Bowl: il coach Andy Reid e il suo quarterback 24enne Patrick Mahomes, circondati dal rosso di quella Kansas City che ha dovuto aspettare 50 anni - più di chiunque altro - per mettere un secondo Vince Lombardi Trophy in bacheca.

 

La partita - I Chiefs alla fine hanno battuto per 31 a 20 i San Francisco 49ers, al termine di una partita che ha mantenuto le promesse della vigilia: doveva essere uno scontro epico, ricco di colpi di scena, e lo è stato. I “Niners”, reduci da una stagione esemplare, hanno venduto cara la pelle, ma non è stato sufficiente, un po’ come se i fatti di questa notte avessero voluto dare peso proprio alle parole che con un pizzico di retorica accompagnano uno spot della NFL: “Il talento non basta, bisogna essere grandi”.

 

E pensare che c’è stato un attimo in cui per San Francisco sembrava fatta: dopo un primo tempo equilibrato chiusosi sul risultato di 10 a 10, nella seconda metà di gioco erano saliti fino a 20 punti, procurandosi un vantaggio corposo quando mancava poco più di un quarto d’ora alla fine della partita. Ma è qui che Patrick Mahomes, scrollandosi di dosso un paio di errori piuttosto pesanti, ha dato dimostrazione di quel qualcosa in più che è indispensabile per vincere un Super Bowl. “Ai Chiefs serve una magia di Mahomes”, stava appunto dicendo il telecronista nel momento più nero per Kansas City, con 15 iarde ancora da conquistare sul terzo down, che in sostanza vuol dire che ci si trova in una di quelle azioni in cui è facile sbagliare, e dove l’errore ti costa tutta la stagione. Proprio in quell’istante, la magia è arrivata con un lancio di 44 iarde che ha riaperto i giochi. Da lì i Chiefs non si sono più fermati, penetrando nella difesa dei 49ers che fino a quel momento aveva messo sul piatto una prestazione maiuscola, e cavalcando fino a quei 31 punti che hanno tolto ogni dubbio sulla loro vittoria.

  

Per San Francisco ci sarebbe stato ancora tempo per cambiare le cose. Jimmy Garoppolo, quarterback di origini abruzzesi, è stato chiamato a rispondere al suo avversario con qualcosa di altrettanto magico, ma nonostante una buona partita non è riuscito a farlo. Il coach di Kansas City, Andy Reid, sembrava non voler credere alla vittoria, finché non è stato sorpreso dalla classica “doccia” di energy drink che lo ha fatto “risvegliare” in quel momento che aspettava da tanti anni.

 

Lo show - Gli appassionati di football hanno avuto la partita che desideravano, ma come sempre c’è stato intorno un mondo che non ha smesso di girare nemmeno per un attimo, a metà tra realtà e narrazione.

 

Prima che i rituali del Super Bowl cominciassero, le squadre si sono schierate in silenzio sulla linea delle 24 iarde, per onorare il numero che campeggiava sulla maglia di Kobe Bryant. Poi c’è stato l’inno nazionale interpretato da Demi Lovato, mentre Shakira e Jennifer Lopez hanno infiammato lo stadio insieme ai fuochi d’artificio nell’halftime show.

  

Immancabili i commercial, con protagonisti d’eccezione come Bill Murray, Martin Scorsese e LeBron James. La BudWeiser ha celebrato la solidarietà come parte integrante della società americana, mentre la Microsoft ha reso omaggio a Katie Sowers, assistente allenatrice dei San Francisco 49ers e prima donna ad arrivare a un Super Bowl.

 

Nell’anno delle elezioni, la politica non ha voluto perdere l’occasione per fare la sua comparsa davanti ai 100 milioni di spettatori che hanno seguito la partita. Il candidato democratico Michael Bloomberg, nel suo spot, ha attaccato la violenza con le armi da fuoco ricordando la storia di George Kemp, ventenne di Houston ucciso da un colpo di pistola durante una rissa. Il presidente Donald Trump ha invece sottolineato i suoi successi nella riforma della giustizia penale, per poi annunciare che “il meglio deve ancora venire”.

 

Lo stesso Trump è stato pure protagonista di una gaffe, con un tweet di congratulazioni per il “grande stato del Kansas”, mentre la Kansas City dei Chiefs si trova nel Missouri. Parole prontamente rimosse, e che probabilmente non hanno intaccato i festeggiamenti dei vincitori.

   

Del resto, la domenica del Super Bowl funziona un po’ così: tutto scorre velocemente, finché non rimane la gioia dei campioni a cui fa da contraltare l’amarezza degli sconfitti. Sogni che si avverano, come quello di Patrick Mahomes che a 17 anni immaginava di vincere il campionato e andare a Disney World. E sogni che si infrangono, come quello dei 49ers che speravano di poter interrompere un digiuno che dura dal 1995. I cappellini e le magliette con la scritta “Campioni” erano pronti anche per loro, in caso avessero vinto. Ora questi articoli saranno affidati a un’associazione no profit per essere donati come aiuti umanitari, divenendo parte di una storia assai diversa da quella che si scrive negli stadi di football.