Foto LaPresse

il foglio sportivo

Quando il gioco si fece Muro

Fulvio Paglialunga

Il calcio ridotto a prigione nella Germania Est prima del 9 novembre 1989

Era forte, la Dynamo Dresda. Così forte che decisero di portarla a Berlino, di notte, e chiamarla Dynamo anche di là, perché così voleva il regime. Anzi, lo voleva Erich Mielke, il fondatore e capo del ministero della Sicurezza dello Stato della Germania Est. Per fare prima: l’inventore della Stasi, la terribile polizia segreta della Ddr.

 

Il calcio ai tempi del Muro di Berlino era una questione di Stato: era lo Stato a decidere tutto, dove andavano i giocatori più forti, in quali città dovevano esserci le squadre migliori, quanto doveva guadagnare un calciatore. A volte anche chi doveva vincere. Per dieci anni di fila, ad esempio, ha vinto il campionato (l’Oberliga, a est) proprio la Dynamo Berlino: dal 1979 al 1988. Era esibizione di potere. Quelle vittorie sono possibili perché una squadra venne spostata quasi in blocco: il 21 novembre del 1954 (c’era già Mielke al comando, c’era già la Stasi, non c’era ancora il Muro) i giocatori della Dynamo Dresda (al primo posto in campionato in quel momento) furono fatti salire di notte su un treno perché dal mattino dopo sarebbero stati i giocatori della Dynamo Berlino. Anche i talenti migliori venivano dirottati verso la capitale della Germania orientale, perché doveva trionfare l’idea del comando. E, non ultimi, gli arbitri avevano una missione chiara: aiutare la Dynamo, perché potevano essere spiati e distrutti dalla Stasi o, peggio, erano spie. Peter Richter era, ad esempio, il nome in codice da collaboratore non ufficiale della Stasi di Bernd Stumps, arbitro della partita che rese lo scandalo dei campionati pilotati, a tutti noto, ormai inaccettabile: il 22 marzo 1986, durante un Lokomotive Lipsia-Dynamo Berlino che decideva lo scudetto, inventò un rigore a tempo scaduto per i berlinesi, permettendo così di pareggiare (1-1) e vincere il campionato. Il “rigore della vergogna” fu troppo anche per il sistema calcistico corrotto della Ddr, Stumps fu fermato per un anno, Mielke iniziò a cedere.

 

Era una gestione spudorata: pure l’Empor Lauter, squadra dei Monti Metalliferi, fu spostata di notte come la Dynamo Dresda, per diventare Empor a Rostok, dove c’era Harry Tisch, il numero uno del sindacato. In quel mondo così lontano dalle libertà occidentali da costruire un muro, la felicità arrivava se il governo voleva. Il calcio pure. Le squadre erano legate a enti o aziende pubbliche; scegliere di contrastare questo modo di gestirlo, come scegliere di contestare lo stile di vita dell’Est, poteva costare caro. Ad esempio Lutz Eigendorf cercava la libertà. Giocava come Beckenbauer, ma dall’altra parte, proprio nella Dynamo Berlino. Il 20 marzo 1979, dopo un’amichevole al di là del Muro contro il Kaiserslautern, approfittò di una sosta sulla strada del ritorno (concessa per spendere i marchi occidentali a disposizione), si mescolò con la folla in un mercato e fuggì in taxi. Aveva pensato a sé e non a quello che sarebbe diventato il suo nemico: la Stasi. Da “traditore” riuscì a giocare solo dopo un anno di squalifica nel Kaiserslautern, ma non sapeva di vivere sotto osservazione. La Stasi gli “tolse” la moglie, convincendola a sposarsi con un proprio uomo addestrato alla seduzione, mandò altri a seguirlo da vicino per sapere quello che diceva, cosa faceva, come viveva. Eigendorf nel frattempo rilasciò un’intervista alla tv di stato della Germania Ovest e parlò della corruzione del calcio dell’Est, di un pallone sotto controllo e invitò altri giocatori a fuggire.

 

Quelli che poi sono riusciti a scappare (come Falko Gotz e Dirk Schlegel, a novembre dell’83, dopo una partita di Coppa Campioni della Dynamo a Belgrado) Eigendorf non ha potuto conoscerli: la notte del 5 marzo 1983 con la sua auto finì contro un albero, per morire due giorni dopo. La polizia chiuse il caso in fretta: tasso alcolemico altissimo, guida in stato di ebbrezza, gli eccessi occidentali. Solo dopo, a Muro caduto e Stasi smantellata, un’inchiesta giornalistica ha ricostruito la verità: Eigendorf è stato costretto con la forza a bere, forse birra mescolata a una sostanza chimica che agisce sulle cellule nervose, poi obbligato a mettersi alla guida e abbagliato da un’auto che veniva in direzione contraria, per far sembrare un incidente l’omicidio che la Stasi aveva progettato.

 

Scappare esponeva a vendette. A volte anche non farlo: Matthias Sammer, Pallone d’oro nel 1996 e uno dei pochi dell’Est a essere stato anche nella Nazionale della riunificazione, due anni fa ha confessato di aver fatto parte della Stasi, senza tuttavia essere operativo, perché giocando nella Dynamo era costretto e perché altrimenti non sarebbe diventato calciatore. Invece suo padre Klaus fu escluso dalla Nazionale della Germania Est perché sua suocera viveva a ovest, non era iscritto al Sed (partito unico della Ddr) e secondo la Stasi si era rifiutato di entrare nell’esercito: insomma un giocatore a rischio fuga, con troppi contatti dall’altra parte del Muro. Andava punito prima: avere parenti a Ovest era una colpa.

   

La Nazionale era lo strumento massimo di propaganda, intorno a cui ruotava l’organizzazione del calcio a est del Muro. Non una Nazionale brillantissima (brillava poco, in quel mondo grigio), ma con un giorno di gloria sopra tutti. L’unica volta in cui Germania Est e Ovest si sfidarono su un campo di calcio fu ai Mondiali del 1974, il 22 giugno ad Amburgo. Giocarono per la testa del girone. In Germania Est nemmeno avrebbero voluto giocare una partita del genere, ma costretti dal sorteggio decisero che sarebbero stati “Neunzig Minuten Klassenkampf”, novanta minuti di lotta di classe, una sfida tra comunismo e capitalismo. Il partito rilasciò 1.500 permessi turistici per permettere agli Ossis di varcare le porte dell’Occidente, a condizione che i beneficiari fossero iscritti al partito, impegnati nell’affermazione della Repubblica Federale e senza parenti a Ovest. Una questione di Stato, nemmeno a dirlo. E la Germania Est riuscì a spuntarla con un gol rimasto leggendario. Quello di Jurgen Sparwasser, raccontato così dal premio Nobel Gunter Grass: “Sparwasser accalappiò il pallone con la sua testa, se lo portò sui suoi piedi, corse di fronte al tenace Vogts e, lasciandosi persino Höttges dietro, lo piantò alle spalle di Maier in rete”. Una fermata della storia: dissero che era il gol che aveva fatto scricchiolare il Muro, nei giorni della riunificazione i tedeschi, tutti, si chiedevano: “Dov’eri il giorno in cui segnò Sparwasser?”. E lui, l’eroe, schivava l’etichetta di simbolo per non mescolarsi alla politica, ma sapeva di essere ormai un’immagine immortale: “Se sulla mia lapide scrivessero Amburgo 1974, tutti saprebbero chi vi giace”, disse tempo dopo. Ma poi anche Sparwasser finì tra i traditori, perché a fine carriera, durante una partita tra vecchie glorie nel 1988, decise di fuggire.

 

  

Sul volo Amburgo-Dusseldorf del giorno dopo l’impresa Hans-Jurgen Kreische, uno dei protagonisti della vittoria, trovò come vicino di posto il ministro delle Finanze del governo di Bonn Hans Apel. Il Mondiale continuava e Kreische disse ad Apel che secondo lui la Germania dell’Ovest avrebbe vinto il titolo. Scommisero cinque bottiglie di whisky. E andò proprio così: la Germania Est uscì al turno successivo, i Wessis vinsero. E Kreische onorò la scommessa, spedendo una cassa di whisky al ministro. Gli costò caro: accusato di “contatti con l’occidente imperialista”, fu escluso dalla Nazionale.

  

Il calcio era una prigione del pensiero: non si poteva far altro che obbedire o evadere. Fino a quando non arrivò il 9 novembre 1989, “il” giorno. Meno di ventiquattro ore prima nella Ddr si era giocata l’ultima partita con il Muro, e in campo c’era proprio la Dynamo Berlino (0-0 contro lo Stahl Eisenhüttenstadt). Poi fu un fiume di gente per strada, il Muro da attraversare e la voglia di sentire che profumo aveva la libertà. Caddero le barriere, pure per i calciatori, che sei giorni dopo giocavano contro l’Austria e in ritiro si videro arrivare i dirigenti della Bundesliga che avevano capito che, con le frontiere che sparivano, l’occasione storica era anche quella di portare i migliori a Ovest. Il primo fu Andreas Thom, che andò al Bayern Leverkusen praticamente un attimo dopo il “crollo”, attraversando il confine senza mettere a rischio la carriera o la vita.

 

Ci fu un altro anno di Oberliga e poi un campionato unico, la Bundesliga di oggi. Che, peraltro, ha molto poco della Ddr di allora. A livello ideologico, niente. Solo due squadre vengono dall’Est: la Union Berlino, che ai tempi del Muro per i politici orientali era la squadra dei nemici dello Stato, e la RB Lipsia, che è di proprietà della Red Bull. L’affronto finale di una multinazionale che ha sostituito nel massimo campionato tedesco la Lokomotive, che una volta era delle Ferrovie, ora in quarta divisione. Alla fine il calcio, spesso macchina di propaganda e qui molto di più, ha spinto con la sua voglia di libertà e ha vinto.

  

Esiste una parola tedesca, “fremdschämen”, che racchiude il senso di imbarazzo e vergogna che si prova per quello che fa un’altra persona o altre persone. Ad esempio, rendere il calcio una prigione.

Di più su questi argomenti: