Un gruppo di manifestanti festeggia la caduta del Muro di Berlino (foto LaPresse)

Le lezioni del 1989 insegnano che anche il comunismo cinese è destinato a fallire

La grande muraglia farà la fine del Muro di Berlino. Ecco come l'intervento dell'occidente può accelerare il processo

Questo articolo è stato pubblicato sul Foglio Internazionale: ogni lunedì, segnalazioni dalla stampa estera con punti di vista che nessun altro vi farà leggere a cura di Giulio Meotti


 

"Trent’anni fa ero innamorato di Berlino”, scrive Niall Ferguson sul Sunday Times: “Un povero studente britannico poteva pagare con le sterline e non con il potente Deutsche Mark, e questo diminuiva il costo della vita rispetto ad Amburgo o Monaco. Ho trascorso l’estate del 1989 in un appartamento di un amico sulla Kurfürstenstrasse, dividendomi tra la ricerca negli archivi e il giornalismo. Berlino ovest non era solamente una città a buon mercato, era divertente. Ma la vera attrazione era il mondo parallelo del ‘socialismo realmente esistente’ della porta accanto, dall’altro lato del Muro’”. Ferguson ripercorre gli eventi che hanno portato alla caduta del Muro, e si sofferma sulle analogie tra la fine del comunismo nel 1989 e la possibile crisi della dittatura cinese al giorno d’oggi. “Nel 1989 abbiamo festeggiato la caduta del comunismo nell’Europa dell’est ma abbiamo sottostimato la sua sopravvivenza in Cina. Con il nostro eurocentrismo abbiamo prestato maggiore attenzione agli eventi di Timisoara che a quelli di Piazza Tiananmen, dove il comunismo nel mese di giugno aveva mostrato la sua faccia autentica e repressiva. Dopo trent’anni, l’allargamento dell’Unione europea e della Nato, e forse persino la caduta dell’Unione sovietica, sembrano essere storicamente insignificanti rispetto alla crescita della Cina. Il pil del paese è cresciuto dall’8,2 al 66,6 per cento in più di quello degli Stati Uniti dal 1989 ad oggi. L’Unione sovietica non ha mai raggiunto nulla di simile. Tuttavia, non credo a coloro secondo cui la Cina sta resuscitando il modello totalitario, per non parlare dell’economia centralizzata, grazie ai big data, il riconoscimento facciale e l’intelligenza artificiale. Questo significa avere frainteso le sette lezioni chiave del 1989.

 

1) L’impero sovietico era intoccabile finché era in grado di crescere. Quando è arrivata la stagnazione – quando la produttività è diventata negativa negli anni Settanta – il sistema si è scoperto fragile. La crescita pro capite è stata negativa tra il 1973 e il 1990. Quando la Cina inizierà a rallentare, e le tendenze demografiche e finanziarie lo rendono inevitabile, ci sarà uno scontento popolare simile a quello dei vecchi paesi satellite comunisti. 

 

 

2) La crescita tende a creare una classe media, che pretende più di qualche vago slogan, anche se non si aspetta la democrazia. La maggior parte dei rivoluzionari del 1989 erano degli intellettuali borghesi, come Vaclav Havel in Cecoslovacchia o Bronislaw Geremek in Polonia. Questi personaggi esistono anche in Cina – pensate all’artista Ai Weiwei – e la loro insoddisfazione con il partito-stato è la stessa dei dissidenti antisovietici.

 

3) La corruzione, l’inefficienza e il degrado ambientale sono delle caratteristiche inerenti a ogni paese totalitario. In un sistema senza controlli anche una campagna anti corruzione diventerà corrotta. Se il partito è al di sopra della legge, tenderà sempre verso l’illegalità.

 

4) Non c’è livello di sorveglianza che può preservare uno stato che perde legittimità. La Stasi non aveva bisogno dell’intelligenza artificiale per sapere tutto ciò che avveniva nella Repubblica democratica tedesca, le bastava affidarsi a una rete di spie in borghese. Ma questo sistema di controllo non è bastato a salvare il sistema, ha avuto l’effetto contrario.

 

5) In uno stato di sorveglianza ogni cittadino impara a raccontare le bugie. Ma quando tutti mentono, arrivano dei disastri come Chernobyl, o come il cortocircuito mediatico che ha portato alla caduta del Muro di Berlino: una conferenza stampa improvvisata dal membro del Politburo Günter Schabowski, in cui annunciava che “ogni cittadino poteva viaggiare oltre il confine a partire da subito”. La mancanza di fiducia tra i dirigenti del partito e l’apparato di sicurezza hanno impedito una rettifica dell’ordine.

 

6) Il potere sovietico è stato frammentato prima nelle periferie. Questo è il motivo per cui Hong Kong, Xinjiang e Taiwan, e non Pechino, sono le zone chiave da tenere sott’occhio. Il Muro di Berlino è caduto a causa di una reazione a catena che è iniziata in Polonia e si è diffusa nei paesi vicini. Un processo simile, alla fine, abbatterà la Grande muraglia cinese.

 

7) Ma bisogna fare una precisazione. Molti accademici sostengono che il Muro di Berlino è caduto a causa delle pressioni interne, e non esterne. Questo revisionismo assurdo ignora il contributo di Ronald Reagan alla caduta del comunismo. 

 

La lezione del 1989 è che non bisogna scommettere su un regime che è ancora fondato sul modello sovietico del partito-stato. Certo, a settant’anni dalla fondazione, la Repubblica cinese è in una condizione migliore rispetto all’Unione sovietica settant’anni dopo la rivoluzione bolscevica. Inoltre, i leader cinesi non vogliono assolutamente ripetere gli errori dell’Unione sovietica, quindi non ci sarà nessuna glasnost, nessuna trasparenza politica. Tuttavia, lasciatemi concludere con una profezia. Il sistema di credito sociale e la sorveglianza tecnologica non salveranno la Cina, nei prossimi dieci o vent’anni, dalla combinazione di un’economia a rilento, una classe media emergente e pretenziosa, un sistema politico corrotto, e una frammentazione che è già iniziata nelle periferie. La Grande muraglia cinese si sta sbriciolando. E la pressione dall’estero può accelerare il processo, come successe con il Muro di Berlino trent’anni fa”. (Traduzione di Gregorio Sorgi) 

 

Questo articolo è stato pubblicato il 3 novembre sul Sunday Times

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