Yeman Crippa (foto LaPresse)

Giro di Doha

Un'Italia di bella luce (e qualche ombra) chiude i Mondiali di atletica

Silvia Salis

Yeman Crippa riscrive la storia e diventa primatista italiano dei 10000 dopo trent’anni. Torniamo a casa con il bronzo della Giorgi. Avremmo potuto fare di meglio, ma la geografia di questo sport è cambiata e davanti a noi c'è un nuovo orizzonte

L’Italia ha chiuso alla grande: ottavo posto per Yeman Crippa che con 27:10.76 riscrive la storia è diventa primatista italiano dei 10000 togliendo il record nazionale a Salvatore Antibo dopo trent’anni. All’impresa di Yeman si aggiunge uno splendido sesto posto della 4x400 maschile formata da Davide Re, Vladimir Aceti, Matteo Galvan ed Edoardo Scotti, che con 3:02.78 precede Francia e Gran Bretagna (quest’ultima costretta al ritiro da una caduta di un suo frazionista). Un’Italia di bella luce e di qualche ombra: non tutto è andato come da previsione certo, ma i nostri ragazzi complessivamente hanno dato un’impressione buona, questa è una nazionale giovanissima e, come ha detto il ct nella conferenza stampa di fine mondiali tenutasi ieri a Casa Atletica Italiana, ci siamo trovati spesso a constatare risultati che non avvenivano da decenni, ad applaudire record italiani superati che erano più vecchi di moltissimi atleti della nostra squadra.

 

Questo non basta, non basta a La Torre, non basta al Presidente Giomi, non basta ai media ed ai sostenitori dell’atletica, e lo trovo giusto, dobbiamo ambire a più medaglie, dobbiamo centrare più finali.

 

A Campionati del Mondo finiti, con il medagliere alla mano, vorrei fare però una riflessione: la Spagna ha portato a casa un bronzo con Orlando Ortega nei 110 ostacoli, i nostri cugini in Francia tornano con un argento di Quentin Bigot nel martello e con un bronzo nei 110 ostacoli con Martinot-Lagarde, la stessa Gran Bretagna torna con cinque medaglie di cui due “e mezzo” sono state vinte dalla stessa persona, la sprinter Dina Asher-Smith, oro nei 200, argento nei 100 e trascinatrice nella 4x100 britannica che ha vinto l’argento.

 

Alla luce di questo è importante capire, nella valutazione della spedizione azzurra, che ovviamente avremmo potuto fare di meglio, che di certo un bronzo non è un bottino esaltante, ma anche che la geografia mondiale di questo sport è cambiata. È cambiata la distribuzione geo-tecnica (termine che mi sto inventando in questo momento) delle specialità: stasera il giavellotto è stato vinto con 86,89 m da un ventunenne che non viene da Düsseldorf, che non è nato ad Helsinki ma che riporta il suo oro a Grenada. Grenada è un’isola di 344 km quadrati, popolata da 104.000 persone, il secondo più piccolo stato indipendente del continente americano, più piccola del Lago di Garda, ed ha espresso il campione del mondo di una specialità che fino a qualche anno fa era quasi totalmente nelle mani dell’Europa. Fino a qualche lustro or sono paesi come Grenada non comparivano nel medagliere, un medagliere che ha visto premiate qui a Doha 43 nazioni.

 

Non voglio scaricare unicamente sul nuovo assetto mondiale dell’atletica la nostra carenza di medaglie, ma non possiamo continuare a vivere nel passato, sarebbe come se una bella ed elegante merceria del centro non si capacitasse del perché non vende più come dieci anni fa non considerando lo Zara a sette piani che le hanno aperto di fianco. È un nuovo orizzonte e una nuova sfida, diciamolo pure, più difficile, in un paese con sempre meno nascite e quindi meno giovani e una scarsa diffusione della pratica sportiva, dobbiamo veramente non lasciare nulla al caso in questi dieci mesi che ci separano da Tokyo, come dice il nostro ct “zero alibi ma tanta consapevolezza”. Perché ci avranno pure aperto uno Zara a sette piani di fianco, ma non dimentichiamoci mai che noi siamo il Made in Italy.

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