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Davide Re e quegli otto centesimi di troppo

Silvia Salis

Il quattrocentista azzurro è stato impeccabile in semifinale ma ha mancato la finale per appena otto centesimi di secondo

È incredibile come lo sport a volte riesca a darti con i suoi risultati e con le immagini che essi lasciano impresse nella nostra memoria, l’idea di come esistano dei momenti che potremmo chiamare “sliding doors”, porte che si aprono e si chiudono e modificano il corso degli eventi. Il nostro Davide Re, guidato da una delle (purtroppo) pochissime donne allenatrici della spedizione, cioè Chiara Milardi, è impeccabile nella sua semifinale mondiale, ma chiude nono. Nono, per chi non lo sapesse, nell’immaginario dell’atletica è un posto molto scomodo, primo escluso dalla finale, 44”85 il suo tempo, 44”77 il tempo dell’ottavo, il giamaicano Bloomfield. Otto centesimi di secondo in un quattrocento metri sono un soffio, anche meno, per non parlare del fatto che al destino non manca mai una certa dose di ironia dato che 44”77 è il primato personale del nostro azzurro. Davide è stato veramente bravo, lo sa, e giustamente in zona mista quando gli chiedono se fosse deluso e amareggiato, risponde con la lucidità che lo contraddistingue dentro e fuori la pista: “ Deluso no, ma amareggiato si”.

 

Pensiamo ora a Filippo Tortu, eccezionale finale mondiale sui cento metri ottenuta con i denti: ottavo per un millesimo di secondo sul nono. Ottavo e nono. Una posizione che cambia tutto, o quasi. Non cambia il valore reale di Davide dopo non essere entrato in finale, non sarebbe cambiato quello di Filippo se fosse arrivato nono. Quello che cambia è la percezione che gli atleti stessi e il mondo intorno a loro hanno del loro valore. Funziona un po’ come il caldo di Doha, tu sai che ci sono trentacinque gradi ma se ne percepisci quaranta alla fine quello è ciò che senti.

 

Ci sono infinite storie in questi mondiali di Doha, come in tutta la storia dello sport, di frazioni di secondo, di millimetri, di soffi di vento che hanno cambiato radicalmente una gara, a volte un’intera carriera, e nell’accettazione di questa roulette sta parte della poesia dello sport. Guardo fuori dalle vetrate di Casa Atletica Italiana, un ventinovesimo piano che svetta su Doha, una specie di Manhattan deserta, e penso che la buona notizia sia che  lo spettacolo ritorna ogni anno sempre uguale a se stesso, quindi ogni anno si può costruire un nuovo sogno ed un nuovo viaggio. Tra appena undici mesi ci saranno le Olimpiadi a Tokyo, altre storie di millesimi e di millimetri, come quelle di Davide e Filippo, scorreranno sugli schermi di tutto il mondo e verranno raccontate da qualche ultimo piano di un grattacielo in Giappone. Ma ora dimentichiamoci quello che è successo ieri. Qui a Doha ci aspettano altri giorni di gare, e come sempre “the show must go on”.

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