Un'immagine di archivio di Massimo Stano (foto LaPresse)

La notte da incubo di Massimo Stano

Silvia Salis

Il marciatore, arrivato in Qatar con il favore dei pronostici, viene fermato da un giudice mentre era in lotta per le medaglie. Ha ancora senso che un atleta si giochi un anno di sudore e lacrime sull’opinione di una persona?

Nella certezza del risultato, legato a metro e cronometro, dell’atletica c’è un’unica grande eccezione: la marcia. Si perché nelle grandi manifestazioni, puoi, pensando di aver subito un’ingiustizia, fare ricorso, far misurare un lancio o un salto valutato nullo, contestare la squalifica di una staffetta e via dicendo. Nella marcia non funziona così, sono i giudici a decidere se un atleta sta marciando correttamente, sono loro a stabilire chi finirà la gara e chi no attraverso un sistema di squalifiche.

La vecchia regola prevedeva che con tre ammonizioni, o cartellini gialli l’atleta venisse espulso dalla gara (e già la cosa mi è sempre sembrata di una cattiveria devastante), la nuova è ancora più sadica, non vieni espulso alla terza ammonizione ma ti devi fermare in un’area pit stop per due minuti. Due minuti sono l’eternità in una gara di marcia, le medaglie su una 20km, a volte anche su una 50km, hanno distanze misurabili in pochi secondi, questa penalità fintamente bonaria è, soprattutto per chi è in testa alla gara in cerca di una medaglia, al pari di un’esclusione. Ma se ci pensate è infinitamente più perversa. Perché tu non solo vedi volare via gli avversari e la tua medaglia, sei pure costretto a rientrare spensierato come un fantasma e, immagino controvoglia (per usare un eufemismo elegante), a finire una gara che a quel punto è diventata un incubo molto realistico.

 

Tutto questo preambolo per parlare della notte da incubo del nostro Massimo Stano: arrivato in Qatar con il favore del pronostico, ha marciato nel gruppo di testa che inseguiva il giapponese Yamanishi, finché la sentenza tecnica del team dei giudici, in vena di squalifiche, ha messo la parola fine sui sogni di medaglia di Stano, costringendolo ai famosi due minuti. Non scriverò che il nostro ragazzo non se li meritava, che stava marciando bene, che il team dei giudici avrà rifilato duemila ammonizioni a raffica anche al trentesimo classificato, sono tutte cose vere ma non voglio sembrare di parte. La mia riflessione è questa: può funzionare, in uno sport come l’atletica, un sistema ancora così discrezionale? Può un atleta giocarsi un anno di sudore e lacrime sull’opinione di una persona in uno sport fatto di numeri come l’atletica? E se stanotte uno dei giudici rigirandosi nel letto capisse di aver sbagliato con Massimo? Se si rendesse conto che per superficialità ha bruciato un anno di lavoro di un atleta? Il Var non basterebbe, ci vorrebbe il rewind.

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