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Il Foglio sportivo

Inter-Juve non è solo Inter-Juve

Michele Bosco

Contismo vs. Sarrismo e comunicazione globale. Il derby d’Italia è una sfida tra brand internazionali

Inter contro Juve (domenica sera a San Siro, diretta su Sky Sport), Conte contro Sarri. Ma, oggi più che mai, il big match di San Siro si sublima nel confronto tra interismo e juventinismo, in una partita che, dal prato, si gioca su un livello sempre più evoluto di competizione, con un nuovo modello di comunicazione, nel quale il campo non è più delimitato dalle classiche strisce bianche ma ha, nella strategia e nella creatività, le uniche virtuali linee di demarcazione. Perché vincere è l’unica cosa che conta, o forse non più: “I tifosi si chiederanno perché proprio io. Perché condividiamo la stessa ambizione, il coraggio, la fame e la determinazione”. Le parole del mister nerazzurro Antonio Conte, attore protagonista del contenuto con cui viene presentato, che va molto oltre il normale annuncio di un neo-allenatore, hanno anticipato quel #NOTFOREVERYONE che accompagna la campagna di branding del club curata dal Chief Marketing Officer Luca Danovaro, e rappresentano al meglio la potenza di un racconto ben strutturato che trasmette emozioni forti, stimolando la fedeltà e il processo di identificazione, lavorando sulla fiducia e favorendo l’immedesimazione, per trarre profitto dalla passione, cogliendo l’attenzione dei fan per farne clienti, instaurando con loro una relazione duratura che porti alla monetizzazione.

 

Più di 35.000 pubblicazioni, 20 milioni di nuovi follower, oltre 250 milioni di visualizzazioni video. È la stessa Inter Media House, celebrando i suoi due anni di vita, a dare i numeri: nata per assecondare e rafforzare il sentimento di milioni di tifosi, permettendo loro di essere in contatto costante coi propri eroi e di vivere esperienze uniche in ogni momento e in qualsiasi posto, questo ibrido tra agenzia e redazione cresce nutrendosi della simbologia interista, anticipando un futuro che si materializza in piattaforme differenti da esplorare e conquistare giorno dopo giorno proprio attraverso le emozioni, la vera forza trainante per coinvolgere i fan, gli sponsor e generare nuovi spazi commerciali, unendo dati e contenuti, tecnologia e idee, nell’ecosistema nerazzurro. Un processo di cambiamento faticoso ma affascinante. Un mutamento culturale, una diversa impostazione mentale, che abbandona il pensiero laterale e si muove su una retta obliqua, nell’intersezione tra informazione, intrattenimento e comunicazione, in una narrazione che, tra il sacro e il profano che lega i tifosi alla squadra, ne racconta i miti e le storie, per fare del brand una religione, grazie alla disintermediazione.

 


Illustrazione di Federico Appel


 

Capita, così, che l’ambizione, il coraggio, la fame e la determinazione di un ex juventino come Conte siano individuati come tratti distintivi e caratterizzanti sui quali puntare per accomunare milioni di fedeli alla loro nuova guida, perché scocchi la scintilla dell’amore e continui il contagio dell’interismo. Il campo. Le vittorie. Le sconfitte. Ma, soprattutto, il modo di interpretare le partite. La rappresentazione dell’unione, dell’applicazione, per battere chiunque. Il potere del contismo. Una simbiosi profonda con tifosi entusiasti, molto oltre i risultati. Perché i valori sono più importanti dei successi, se ben radicati. È stato Robert Faulkner, allora Chief Communications Officer della società di Suning, a dare maggiori dettagli, in un’intervista alla rivista Undici nel 2018: “Specialisti madrelingua, content manager, social media manager, addetti alla gestione lato CRM/marketing, figure di coordinamento sulla parte grafica. Una relazione continua con il mondo della televisione e un dialogo con il centro sportivo. Il progetto di Inter Media House e le strategie di brand positioning vanno di pari passo. Ogni singola interazione o contenuto parla del brand. Un’esperienza 7 giorni su 7, multipiattaforma, multi-device, multilingua, con lo sviluppo di una strategia di posizionamento e di monetizzazione nel medio e lungo periodo. Le squadre di calcio hanno un vantaggio competitivo rispetto agli altri brand, hanno una relazione unica con il proprio utente. Non c’è cliente più fidelizzato del tifoso di calcio. Su questo vantaggio competitivo impostiamo le logiche di Inter Media House, per diventare una società di intrattenimento. Se creo un bel contenuto con un top player ho più facilità a distribuirlo, quindi bisogna formare i calciatori a questo genere di nuova sensibilità. Non giocano più solamente in campo ma sono i nostri testimonial al di fuori, anche quando parlano con un giornale, o su un social media, o quando gestiscono un proprio account personale. Sono i primi evangelist e rappresentanti della squadra e del brand. Vogliamo cambiare la cultura dell’azienda. Non succede in un attimo, ma avverrà”. Tutto questo, con Matteo Pedinotti subentrato a Faulkner nel frattempo, sta avvenendo. Con una crescita che non riguarda solo i social, ma che, come riporta Calcio e Finanza, rende l’Inter il primo club ad avere un canale tematico sulla DAZN, in Italia. L’app ufficiale, attualmente disponibile in 3 diverse lingue, conta già più di 700.000 download.

 

Ogni azienda è un media, cambia il modo di pensare. Come alla Juventus, che con #LIVEAHEAD prosegue il suo percorso in un’èra segnata dal cambiamento e da segnali di rottura con il passato, che iniziano dal brand, continuano con Cristiano Ronaldo e procedono spediti, tanto da essere di difficile comprensione per gli stessi fan, con la scelta di Maurizio Sarri per la panchina. Dall’immagine al campo, dallo stile di gioco al management, per una nuova identità di marca che sia globale. Andrea Agnelli lo aveva già spiegato nel 2016 a Sky Sport: “Gestire la Juventus nell’ultimo decennio è profondamente diverso. Oggi siamo una grande società con un fatturato di centinaia di milioni e centinaia di dipendenti. La nostra non è più una dimensione ludica, ma quella di una grande azienda, in uno dei pochi settori al momento in espansione. La società è bene impostata per reggere le sfide dei prossimi anni, poi si dovrà capire cosa accadrà nel calcio italiano ed europeo. Dobbiamo capire qual è il nostro modello, quale dev’essere la mission della serie A e stilare un piano per rimanere competitivi. Abbiamo molto da innovare”.

 

Per le società italiane – proseguiva Agnelli a Sky Sport – competere a livello internazionale è più difficile non solo per i fatturati, ma per i modelli di sviluppo e la programmazione nel medio e lungo periodo. Se penso alla Spagna o all’Inghilterra, noto che le squadre storiche per eccellenza sono il Real Madrid e il Manchester United, eppure guardo il Barcellona e il Chelsea che sono diventati dei fenomeni globali, sfruttando magnificamente gli ultimi 10, 15 anni, arrivando in ogni casa del mondo con un semplice clic. Questo ha permesso di monetizzare attività come il merchandising o gli abbonamenti digitali, oltre al botteghino e alla pay per view”. Non solo la Juventus, ma tutto il sistema all’interno del quale opera è al centro delle riflessioni di un gruppo dirigente che segue strategie ponderate, rispetto alle quali la parte sportiva è solo uno degli elementi di un puzzle che non può prescindere da una gestione finanziaria all’avanguardia, l’investimento Stadium lo conferma, e dall’evoluzione della comunicazione. Il 16 gennaio 2017, infatti, la Vecchia Signora cambia abito, facendo un altro decisivo passo verso il futuro con una nuova brand experience. Ad evidenziarlo è stato lo stesso presidente durante quella presentazione: “A cosa pensa la bambina di Shanghai, il millennial di Mexico City, la ragazza di New York? Per questo vogliamo avere un linguaggio meno tecnico e più evocativo”. Semplice e iconico, il nuovo logo della Juventus abbandona la tradizione per parlare a nuovi target di persone, puntando sui social: millennial, sì, ma anche donne e bambini. Strisce bianche e nere, la J e lo scudetto: può essere definito minimal ma, in realtà, gli stessi responsabili del club spiegavano, già nel 2015 a Prima Comunicazione, come, al centro di tutto, ci fosse il digitale, di cui si sarebbe cercato di sfruttare ogni potenzialità per migliorare il rapporto coi fan e aumentare le opportunità di business legate a pubblicità, merchandising, sponsorizzazioni e interazione con altri media: “Un’attività messa in piedi dal nulla, un progetto di nuova comunicazione che ha nel 27 aprile del 2011 la sua data di avvio”, rivelava Claudio Albanese, Direttore Comunicazione e Relazioni esterne. Gli faceva eco Federico Palomba, per anni il responsabile del reparto digital, e ora a capo della ‘missione asiatica’: “Con l’arrivo di internet e delle nuove tecnologie è cambiato tutto nel calcio, che prima era un fenomeno mediaticamente esposto ma in modo passivo. Il percorso fatto negli ultimi anni ci ha portato nella classifica dei dieci club sportivi, non solo di calcio ma anche degli sport americani, che hanno sul digitale le audience maggiori a livello mondiale”. Come una media company, confermando la trasformazione, la Juventus è arrivata a comunicare in svariate lingue, con attività studiate per le singole aree geografiche. È in questo contesto, anche se a molti sembra impossibile, che si inserisce l’idea di puntare su Sarri e su tutto ciò che porta in dote l’ex allenatore di Napoli e Chelsea. Ed è lui, oggi, a sottolineare lo step successivo attualmente in atto, già dalle prime conferenze stampa: “Vogliamo diventare una squadra con una forte identità. Mi voglio divertire”, ha detto in conferenza stampa.

 

A prescindere dai progetti tecnici che si susseguiranno nel tempo, di conseguenza, sembra chiaro l’obiettivo di affiancare ai risultati, storicamente mai mancati, un approccio offensivo, un’idea di calcio che diventi un marchio identificativo della squadra e dell’azienda. Un’operazione di rottura che dimostra coraggio e lungimiranza, in nome di una differente cultura da instillare del dna dello juventinismo. Se l’influenza di Ronaldo è quella di un media dalla portata mondiale, di fatto, quella di Sarri è nello stile di gioco, perché sia leva di comunicazione e sinonimo di identità di marca, con lo scopo di intercettare audience calcisticamente vergini, facendone tifosi bianconeri, prima, e clienti fedeli, poi. Allegri, un grande allenatore, ha portato vittorie e trofei, eppure i club hanno la necessità di generare profitto a prescindere dai risultati sportivi e dal cosiddetto player trading. Per andare oltre i confini italiani, per allargare i propri orizzonti mediatici senza legarsi alla vittoria della Champions League, che pure resta l’obiettivo dichiarato della dirigenza bianconera, la Juventus punta sul divertimento, sull’intrattenimento.

 

Una scelta che si aggiunge alla sperimentazione sulle maglie, con l’abbandono (quest’anno) delle (classiche) strisce per la prima e con il rosso come colore dominante per la seconda, ma anche alla richiesta di giocare spesso alle 15 o all’investimento in una nuova branch a Hong Kong. Il processo è lineare: farsi notare da platee vastissime, appassionarle con un calcio attraente oltre che vincente e sfruttare i nuovi canali che la tecnologia mette a disposizione facendosi media e broadcaster, per produrre e diffondere contenuti che allunghino i tempi di contatto con il brand, incrementare la fanbase e portarla verso il proprio ambiente digitale. Un ecosistema nel quale il sito, e soprattutto l’app, rappresentano l’ultimo livello per disintermediare, per creare visibilità da capitalizzare e per relazionarsi con un pubblico da conoscere in modo sempre più profondo e dal quale ricavare dati e informazioni necessari per affinare e targettizzare ulteriormente gli stessi contenuti e le offerte commerciali, monetizzandone la passione. L’influenza del sarrismo, vincere e divertire, una svolta epocale.

 

E allora Inter contro Juve e Conte contro Sarri, ma l’interismo e lo juventinismo, insieme, spiegano come l’industria dello sport stia anticipando tutti, indicando la strada per sfruttare al meglio l’evoluzione, tra fede e disintermediazione. Perché vincere non è più l’unica cosa che conta.

  

Michele Bosco

Specializzato in sport management e marketing, fondatore della Media House Fanism e del magazine Virtual14, Michele Bosco ha da poco pubblicato il libro “Sarrismo - Fede e disintermediazione” per Dario Flaccovio Editore (161 pp., 15 euro)