Antonio Conte (foto LaPresse)

Conte ritrova il suo passato: quella Juve che ha reso grande

Leo Lombardi

Quattro anni e tre mesi dopo la fine della sua avventura in bianconero, oggi il tecnico dell'Inter si prepara a sfidare la sua creatura: per insidiarne il predominio ininterrotto

La data era stata cerchiata in rosso, alla Rino Tommasi, con il calendario ancora fresco di compilazione. Tutti a segnare domenica 6 ottobre, giorno di Inter-Juventus. Giorno del primo incrocio di Antonio Conte con la sua ex squadra, quella che aveva fatto grande prima da giocatore e poi da allenatore. E di cui oggi vuole interrompere un dominio che, in Italia, si estende incontrastato da otto scudetti consecutivi. I primi tre li aveva firmati proprio quello che era stato lo storico capitano bianconero. Conte era arrivato alla Juventus nel 2011, per dare un volto a una squadra che non l'aveva ancora recuperato dopo la rovinosa retrocessione in serie B per Calciopoli nel 2006. In tanti ci avevano provato - da Claudio Ranieri e Ciro Ferrara, da Alberto Zaccheroni a Gigi Delneri -, senza riuscirvi. Fino alla scelta di affidare la panchina a uno che aveva incarnato fino in fondo la juventinità sul campo e che aveva fatto buone cose in serie B, comunque tutte da verificare alla guida di una grande.

 

Un azzardo subito vincente, cominciando dal recupero di una identità poi concretizzata con un gioco ossessivo e possessivo. Anche lacerante, perché certe pressioni sui giocatori alla lunga pesano, e così era stato con Conte, cui si era unita l'insoddisfazione di fondo personale per la campagna acquisti della società, ritenuta non all'altezza delle ambizioni europee. Due particolari che erano stati alla base del clamoroso divorzio dell'estate 2014, con Conte a traslocare sulla panchina dell'Italia e Massimiliano Allegri a prenderne il posto. Un tecnico accolto a sputi a Vinovo perché ritenuto indegno di sostituire un'icona bianconera e perché arrivava dal Milan, dove si era visto soffiare lo scudetto nel 2012 per il gol non visto di Sulley Muntari, con palla respinta da Gigi Buffon ben oltre la linea. Un tecnico, soprattutto, che avrebbe portato subito la Juventus in quella finale di Champions League che era parsa impossibile al suo predecessore e che ne avrebbe continuato (e migliorato) l'opera, vincendo cinque scudetti consecutivi.

 

Quattro anni e tre mesi dopo è il momento di trovarsi per la prima volta su fronti opposti. Conte, nel frattempo, ha portato l'Italia a un dignitoso quarto di finale europeo perso ai rigori (ricordate le non-trasformazioni di Simone Zaza e Graziano Pellè?), ha quindi vinto e litigato in Premier League: una Premier e una FA Cup con il Chelsea e un divorzio altrettanto burrascoso nel 2018. Un anno di stop gli è servito per staccare dalle tensioni e per ascoltare le proposte. C'era stata anche quella della Juventus, il vicepresidente Pavel Nedved e il direttore sportivo Fabio Paratici avevano sondato il tecnico dopo la brutta sconfitta con l'Atletico Madrid in Champions, a febbraio. Erano pronti a rimetterlo sulla sella bianconera, salvo poi scontrarsi con l'opposizione del presidente Andrea Agnelli che, come ogni piemontese che si rispetti, non dimentica i torti subiti. E quell'addio di Conte, con relative frasi sferzanti (“Non puoi sederti al ristorante da 100 euro con 10 euro in tasca”, riferito all'avarizia societaria sul mercato), aveva tracciato un confine ritenuto insuperabile dalla società. Un no che aveva favorito le aspirazioni dell'Inter, soprattutto dell'amministratore delegato Beppe Marotta, tra gli artefici dell'operazione Conte ai tempi della Juventus. E che ora tenta analogo rilancio in nerazzurro, dopo anni di vacche magre dal punto di vista delle gestioni tecniche.

 

L'inizio è stato fragoroso, in tutti i sensi. La società ha accontentato i desideri dell'allenatore, cucendogli addosso la squadra su misura. Conte ha compiuto il resto, restituendo all'Inter un'anima, come aveva fatto con la Juventus, e modellandola secondo canoni di pragmatismo che non si vedevano dai tempi di José Mourinho. Risultato? Sei partite e altrettante vittorie, che consentono di approcciare il big-match di domenica 6 ottobre da una posizione di forza. Una trasformazione che ha coinvolto lo stesso allenatore che, riferendosi alla Juventus, evita le polemiche “perché altrimenti dovremmo tirare in mezzo i bilanci e gli stati patrimoniali”. E che, duellando a distanza con Sarri, gli consiglia di “stare sereno, ora sta dalla parte forte”. Sembra di sentire la voce dell'avvocato Peppino Prisco - buonanima - da lassù e non quella di uno che ha indossato il bianconero per sedici anni. Ma, più che di trasformismo, occorre parlare di professionalità. Quella che profonde Maurizio Sarri alla Juventus, dopo anni passati a combatterla (anche dialetticamente) sul campo con il Napoli; quella di cui si nutre l'ex simbolo bianconero Conte all'Inter. È la maniera più intelligente per dare un senso al proprio presente e per avere rispetto del proprio passato, anche quando si è stati una bandiera.

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