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L'incredibile e grottesco balletto intorno ai funerali di Diabolik

Giovanni Francesio

Fabrizio Piscitelli è stato ucciso il 7 agosto a Roma in un agguato ma non per motivi legati al mondo ultras. Perché non sono state acconsentite subito le celebrazioni pubbliche? 

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Il funerale di Vittorio Casamonica, capo dell’omonimo clan romano, ce lo ricordiamo bene: il carro funebre trainato dai cavalli neri, le rolls-royce, il traffico di Roma bloccato dai vigili urbani per far passare il corteo, e l’elicottero che gettava petali di rosa. Una cosa sobria, insomma. E lo cito solo perché è stato il caso più clamoroso, tra i tanti funerali pubblici visti negli ultimi anni di personaggi controversi, quando non di malavitosi, mafiosi e camorristi dichiarati.

 

Ma se sei un ultras, e se sei un ultras “famoso”, allora no, allora il funerale pubblico non lo puoi fare.

 

I fatti: il 7 agosto a Roma viene ucciso in un agguato, con un colpo di pistola alla testa, Fabrizio Piscitelli, noto nel mondo delle curve italiane come “Diabolik”, uno dei capi degli Irriducibili della Lazio.

 

Chi l’ha ucciso, e perché, non si sa, e non ci addentriamo; ma di sicuro si può escludere un “movente ultras”.

 

Che fosse un ultras non c’entra niente, con la morte di Piscitelli, eppure è proprio il fatto che Diabolik fosse un ultras che ha scatenato l’incredibile e grottesco balletto intorno ai suoi funerali.

 

Il questore di Roma – preoccupato non si sa bene di cosa – infatti in un primo momento ha ordinato “il divieto di celebrazione del funerale di Fabrizio Piscitelli in forma pubblica e solenne”, per poi, di fronte alle proteste della famiglia, che ha giustamente rifiutato di partecipare ai funerali privati, acconsentire a quelli pubblici, che si sono svolti mercoledì scorso, ma con il vincolo che partecipassero non più di 100 persone, e il divieto agli amici di portare a spalla la bara in corteo per poche decine di metri, perché qualcosa bisogna pur sempre vietare (circa 300 gli uomini delle forze dell’ordine precettati per questo strategico incarico).

 

Troppo facile chiedere se a Roma la questura non ha nulla di più importante e urgente di cui occuparsi, e a cui destinare risorse (magari, la butto là, trovare chi l’ha ucciso, Piscitelli). Forse è più interessante, ancorché scorante, sottolineare che continua a esserci qualcosa di sostanzialmente assurdo, di malato, nel modo in cui le istituzioni italiane vivono gli ultras. Una incomprensibile e isterica bulimia che, quando ci sono di mezzo gli ultras, spinge a controllare tutto, blindare tutto, vietare tutto, diffidare di tutto e tutti, per fronteggiare un’emergenza inesistente.

 

Una foga repressiva dalla quale non si riesce più a uscire. Nemmeno per un morto, nemmeno per un funerale.

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