La nazionale italiana di calcio femminile (foto LaPresse)

Il calcio femminile non è tutto oro

Emmanuele Michela

Il movimento, anche dopo i Mondiali, continua a crescere. Ieri sono stati presentati i calendari della Serie A ma al via mancano due club storici come Valpo e Mozzanica che, nel frattempo, sono falliti

A metà tra un Mondiale stravisto e una stagione alle porte, la Serie A femminile italiana (il cui calendario è stato presentato ufficialmente ieri ndr) deve fare i conti con due brutti tracolli: due club, Valpo e Mozzanica, non sono ai nastri di partenza. Le venete, che erano “imparentate” col Chievo, pagano la retrocessione dei clivensi e già da un mese avevano annunciato la mancata iscrizione di tutte le loro squadre ai campionati. La stessa scelta intrapresa dalla società bergamasca, un club a suo modo storico per il calcio femminile, che ha fatto giocare anche alcuni talenti della nazionale come Giacinti, Giugliano, Bartoli e Galli. Il legame con l’Atalanta - attivo da due anni - non ha retto: “Abbiamo creduto nell’Atalanta Bergamasca Calcio, ma purtroppo non siamo diventati una loro priorità”, sono state le parole di “addio” di Ilaria Sarsilli, presidente del club. “Non giudico la loro decisione, la rispetto, probabilmente è frutto di meditate scelte imprenditoriali. Continuare da soli sarebbe stato da incoscienti e avrebbe voluto dire mancare di rispetto alle nostre ragazze”.

 

Per Moris Gasparri, studioso ed esperto di calcio femminile, il problema non va sottovalutato. Per spiegarlo occorre anzitutto cogliere la differenza tra il calcio femminile delle squadre nazionali, gestite dalle federazioni, e quello dei club. “Il primo, come abbiamo visto ai Mondiali, ha saputo riscuotere un successo enorme, catturando spettatori e sponsor. Passo dopo passo, grande evento dopo grande evento, sta riuscendo a trovare una sua sostenibilità economica”. Un percorso invece più lungo per i club: “Questo è appunto il grande problema, oggi, del calcio femminile di vertice in Italia: la sua sostenibilità”.

 

L’impegno dei grandi club “maschili” è uno slancio recente, in Italia come all’estero: basti pensare che fino a pochi anni fa avevamo in tutta Europa club femminili quasi solo dilettantistici. Nel nostro paese è dal 2015 che c’è l’obbligo di sviluppo graduale di un settore giovanile femminile per le società pro maschili, oltre alla possibilità di acquisto del titolo sportivo (mossa che, ad esempio, ha permesso alla Juve di nascere e trovarsi in Serie A, sostituendo il Cuneo, o al Milan di rimpiazzare il Brescia). L’attenzione dei media è crescente, Sky già da un anno dà visibilità al campionato italiano. “Il valore che il calcio femminile può avere per i grandi club in termini di immagine e promozione del brand è crescente e ancora tutto da esplorare nelle sue potenzialità”, prosegue Gasparri. “Pensiamo solo al fatto che dopo i Mondiali alcune calciatrici azzurre, come Gama e Bonansea, sono diventate autentiche icone femminili. Ma per sperare di avere ritorni in futuro servono investimenti qui e ora, uniti a grande passione e senso di sfida”.

 

Il dramma è che a sparire sono due club di tradizione e “provincia” come Valpo e Mozzanica. Rieccola, la sostenibilità, quindi, primo step da raggiungere per un movimento che, alla luce degli ottimi risultati dei Mondiali, ambisce al professionismo. Che non può essere un semplice riconoscimento giuridico, se prima non fa i conti con la redditività - ancora insufficiente - del calcio femminile.  All’estero, le risposte sono simili: in Inghilterra, ad esempio, la massima serie è composta solo da club professionistici, hanno creato un sistema chiuso basato su alcuni standard, che hanno tagliato fuori società storiche femminili come il Doncaster Rovers. “Così nel massimo campionato ci sono solo club femminili di grandi società maschili: Arsenal, Chelsea, Liverpool, Man City, Man Utd, Tottenham….”. Non mancano gli sponsor, come Barclays che ha investito 10 milioni di sterline per i prossimi 3 anni. L’Italia, nel suo piccolo, vorrebbe arrivare lì: “Serve almeno un altro quinquennio di investimenti e di valorizzazione del prodotto. La Serie A ha bisogno di 12 squadre competitive e strutturate. Ma non dobbiamo dimenticare tutto quello che c’è sotto, in Serie B e C, fino ad arrivare alle migliaia di società dilettantistiche, dove il talento giovanile può crescere”. Intanto le tesserate sono passate da 20mila a 26mila negli ultimi 5 anni: “È poco in termini assoluti, soprattutto se confrontato con le grandi nazioni europee, ma è comunque un guadagno importante per il nostro calcio. Speriamo che l’effetto Mondiali possa far compiere un salto di qualità nei numeri, e che la pratica del calcio femminile possa diventare un fenomeno di massa anche sotto la linea gotica”.

Di più su questi argomenti: