L'allenatore della Juventus, Massimiliano Allegri (foto LaPresse)

In Italia non c'è nessuno come la Juve. Adesso giudichiamola in Champions

Leo Lombardi

Allegri e la sua squadra hanno lasciato il segno sul campionato già alla fine del girone di andata. C'entrano il divario con gli altri club italiani e il lavoro del mister

Parleremo ancora di lui a fine stagione, questa la certezza, ma non possiamo aspettare così a lungo. Perché Massimiliano Allegri ha lasciato il segno sul campionato già alla fine del girone di andata: era più che prevedibile alla vigilia del torneo, non con tali dimensioni però. La Juventus si è spinta fin là dove nessuno era mai arrivato, chiudendo la prima fase della serie A a quota 53 punti. Più brava persino di quella di Antonio Conte che, nel 2013-14, girò all'andata a 52 per concludere a 102, cifra record per i campionati a venti squadre con i tre punti a vittoria. Un cammino brillante per qualità proprie e reso agevole dal progressivo eclissarsi delle possibili avversarie dirette, tutte regolarmente battute e, a loro volta, brave ad azzopparsi da sole: vedi il pareggio del Napoli in casa contro il Chievo, giusto per fare un esempio.

   

Si tratta di uno scenario esaltante per la Juventus e desolante per il nostro campionato che, dopo sette scudetti consecutivi, si appresta a consegnare l'ottavo ai bianconeri. Una monotonia che in Europa si vede unicamente in Francia con il Psg, dal momento che in Germania il risveglio del Borussia Dortmund crea grattacapi al Bayern, che in Spagna - mal che vada - vivono sull'alternanza Barcellona-Real Madrid e che in Inghilterra c'è sempre qualcuno pronto ad attaccare il potere costituito: vedi il Liverpool attuale. In Italia no, aggiungendo l'impressione che la classe dirigente di un tempo oggi si accontenti di arrivare tra le prime quattro, per qualificarsi in Champions League, che fa figo e porta soldi. Tanto, per lo scudetto, è inutile provare a mettersi in corsa.

   

Un divario che si è aperto naturalmente nel corso degli anni, da quando la Juventus ha saputo ricostruirsi una volta riemersa dalla serie B e dai bassifondi di Calciopoli. La società ha pianificato con determinazione la rinascita, passo dopo passo, a cominciare dallo stadio di proprietà che - in questo momento - sta facendo la differenza, fino ad arrivare alla capacità di portare a Torino perfino Cristiano Ronaldo. Un'operazione avviata per sferrare sì l'ennesimo attacco alla Champions ma, soprattutto, per dare nuove prospettive commerciali al marchio bianconero, ciò che conta realmente nel calcio contemporaneo. E i primi risultati si sono visti pochi giorni fa, con il rinnovo record con lo sponsor tecnico Adidas, il cui contributo è passato da 23 a 51 milioni a stagione, fino al 2027. Una cifra che pone la Juventus tra le big d'Europa e che fa impallidire i competitor italiani. Per dare un'idea, dietro vengono Inter e Milan, 12 milioni e mezzo la prima e 12 il secondo, rispettivamente da Nike e Puma. Un abisso.

   

Stadio, sponsor, merchandising, montepremi Champions, senza dimenticare i diritti tv, diventati però una parte e non il contributo più importante, come invece avviene per tutti gli altri club italiani. E i risultati del campo, di cui Allegri è l'artefice principale. Il tecnico era arrivato nel 2014, avversato dalle vedove inconsolabili di Conte, che aveva abbandonato la nave perché non gli miglioravano la squadra al mercato. Lui ha dato indicazioni, lavorando con quanto gli mettevano a disposizione, e ha continuato a vincere, prendendosi quattro scudetti e quattro Coppa Italia. Lo ha fatto sfruttando gli uomini per le loro caratteristiche e non sacrificandoli sull'altare del proprio progetto tattico (vedi quando ha introdotto il 4-2-3-1, con Mario Mandzukic reinventato attaccante esterno). Ci è riuscito gestendo lo spogliatoio come nessun altro sa fare e vincendo quando gli vendevano i migliori (Paul Pogba), quando c'erano caratteri complicati (Arturo Vidal), quando doveva mostrare il polso (lo sgabello in Champions di Leonardo Bonucci). Per Allegri vale la ragion di stato, che significa anche ricucire il rapporto con chi aveva avuto divergenze (Andrea Pirlo, messo da parte al Milan, e ancora Bonucci, riaccolto dopo un anno in rossonero) e con questi primeggiare sul campo. È ciò che gli permette di ottenere risultati e di essere rispettato da chi allena, al punto che nell'ultima estate Mandzukic e Sami Khedira hanno deciso di restare quando hanno saputo che il tecnico non se ne sarebbe andato.

   

Oggi, come ultima critica, accusano la Juventus di giocare male. Allegri se ne frega alla livornese, in maniera dissacrante e leggera al tempo stesso. E rispondendo con i successi. Certo, ci sono giornate in cui la fortuna aiuta assai, vedi la vittoria faticosa con la Sampdoria nell'ultimo turno, e a volte la squadra dà l'impressione di complicarsi la vita da sola, non andando a chiudere subito le partite. Ma resta quella differenza di fondo che, almeno in Italia, è praticamente impossibile da colmare per le dirette concorrenti. Per questo giudicheremo la Juventus da quanto saprà fare in Europa.

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