Due tifosi del Brighton versione Babba natale (foto LaPresse)

Contro il mito della Premier League

Francesco Paolo Giordano

God save the football. Il campionato inglese è il più ricco e seguito. Sicuri che sia il più bello?

Ahi serva serie A, eccetera eccetera. Noi siamo così dannatamente indietro, mentre loro… beh, loro sono loro. La Premier League. Il campionato più seguito, più affascinante, più ricco del mondo. Un torneo globale, più che nazionale: un’ottantina di televisioni internazionali assicurano alla Premier League un’audience media a partita di 12 milioni di spettatori, e il potenziale di 4,7 miliardi di persone ha dell’incredibile. I soldi delle tv fanno felici i club, che nell’ultimo triennio si sono spartiti 5,14 miliardi di sterline solo dalle emittenti nazionali (e meno male che c’è il “3pm Blackout”, che obbliga la trasmissione di sole 168 partite su 380). Poi ci sono gli accordi commerciali, il botteghino, e tutto il resto: nel 2016/17, segnala Deloitte, le squadre di Premier hanno incassato 5,2 milioni di euro, quasi il doppio rispetto alla più vicina concorrente, la Liga. Per non farsi mancare nulla, la tornata europea dei gironi è andata benissimo per le squadre di Sua Maestà: sei qualificate su sei alla fase a eliminazione diretta, quattro in Champions (i due Manchester, Liverpool e Tottenham) e due in Europa League (Chelsea e Arsenal).

A snocciolare certi dati, l’equazione risulta facile – ma allora è il campionato più bello del mondo! – e in effetti, la tiritera in giro per il mondo è esattamente questa.

 

Per Ibra è sopravvalutata, per Fabregas troppo fisica, per Scholes
le “partite di calcio vero” sono in altri campionati

 

Ma siamo pur sempre nell’èra della post-verità, e allora siamo proprio sicuri che sia in Inghilterra che si giochi il calcio migliore? Il tema se l’è posto – con sempre maggior insistenza negli ultimi tempi – la stampa sportiva inglese, ma sono stati gli stessi protagonisti, tra calciatori e allenatori, ad aver smontato per primi il mito della Premier. Zlatan Ibrahimovic, che in Inghilterra ha chiuso (almeno pare) la propria esperienza nel Vecchio Continente, ha detto: “Mi è piaciuta la Premier, mi ha motivato molto, però credo che la qualità, quella individuale, la parte tecnica, sia un po’ sopravvalutata”. Un pensiero più sfumato, per usare un eufemismo, rispetto a “il calcio inglese è una merda” che lo svedese pronunciò giovanissimo ai tempi del Malmö, ma il concetto rimane. E, soprattutto, è condiviso da molti dei suoi colleghi.

 

“Per i giocatori talentuosi, è più difficile emergere. Qui si dà maggior risalto alla fisicità. Se vuoi giocare, o corri tantissimo o sei forte fisicamente”. E meno male che lo dice Cesc Fàbregas, uno che in Inghilterra calcisticamente ci è cresciuto – debuttò con la prima squadra dell’Arsenal a 16 anni – e che poi, dopo la parentesi a Barcellona, ci è pure tornato. La fisicità, ecco la stella polare degli inglesi: “Qui il calcio è così fisico, senza la tecnica o la qualità che ci sono in Spagna”, disse Osvaldo, intristito da sei mesi di tedio a Southampton. Già, la noia. Uno che si annoiava tantissimo, senza dirlo apertamente, è l’uomo che ha alzato l’ultimo trofeo di campionato: Pep Guardiola. Qualche mese dopo il suo arrivo al City, disse: “Qui il pallone viaggia più per aria che rasoterra. Mi è bastata una sola partita per capire il calcio inglese: Swansea-Crystal Palace 5-4. Nove gol, otto su calci da fermo”.

 

Potrebbe sembrare snobismo tipico di chi arriva da un’altra cultura calcistica, eppure tra i più agguerriti detrattori della Premier ci sono alcuni tra i big del football britannico. Sentite cosa ha scritto Paul Scholes, nel libro Class of 92 pubblicato due anni fa: “Nelle ultime due stagioni di Premier, ho mai visto una partita di grande qualità, che mi abbia fatto esclamare ‘WOW’? Non credo proprio. Poi penso alle partite straniere a cui ho assistito: Real Madrid-Barcellona, Bayern-Borussia Dortmund. Partite di calcio vero”. Un anno prima, Rio Ferdinand aveva detto: “Le squadre inglesi non sono poi così buone. I migliori calciatori al mondo non giocano in Premier. Il secondo livello di migliori calciatori al mondo, nemmeno”. E Gareth Bale, che la Premier l’ha “ripudiata”, ha più volte ribadito che la Liga esercita più attrattiva, per il pubblico e per i calciatori.

 

“La Premier League ha venduto per quindici anni una Skoda spacciandola per una Lamborghini”, dice Dietmar Hamann 

 

Domandi si gioca il Boxing Day, e questa è un’abitudine (poi imitata anche in Italia) che da sempre muove l’orgoglio degli appassionati della Premier. Si gioca praticamente ogni giorno durante le feste – segnatevi: Liverpool-Arsenal il 29 dicembre e Manchester City-Liverpool il 3 gennaio – ma agli allenatori non va proprio giù. “Così uccidiamo i giocatori, nell’ultimo mese abbiamo giocato dieci partite in trenta giorni. Non è normale, la Federazione deve rifletterci su”, il j’accuse di Guardiola. Ma il “caos” dura tutto l’anno. Sarri, appena arrivato, è rimasto di stucco quando non hanno accordato al Chelsea un giorno in più di riposo dopo una trasferta europea: “Non capisco perché non si possa chiedere di giocare il lunedì sera. In Italia è normale”. Ah, l’Italia, quella che pure Mourinho rimpiangeva sotto l’aspetto organizzativo: “In serie A, quando in settimana avevi una gara di Champions, potevi anticipare la tua partita di campionato al venerdì. Qui in Inghilterra non accade mai. Nessuno mi ha dato spiegazioni sul perché dobbiamo giocare di domenica pomeriggio”. Quest’anno, non è piaciuta nemmeno la data di inizio. Gareth Southgate, ct dell’Inghilterra quarta ai Mondiali, ha detto che gli allenatori della Premier si sono trovati in una “situazione impossibile” visto che il campionato è partito così presto, appena quattro settimane dopo la finale di Coppa del mondo. Forse, ha aggiunto, l’organizzazione non si aspettava che la Nazionale facesse così tanta strada in Russia. Alla faccia della fiducia…

 

La Premier è tre passi avanti a tutti, è la convinzione generale: però sarà l’ultimo dei cinque maggiori tornei d’Europa ad avvalersi del Var (verrà introdotto soltanto dalla prossima stagione). Arsène Wenger, che in Inghilterra ci ha passato 22 anni vincendo 17 trofei, reclamava la nuova tecnologia da tempo: “Personalmente, il rifiuto del Var è una brutta, bruttissima decisione”. La verità è che Wenger, gli arbitri inglesi, li odiava profondamente: “Questi sono gli anni Cinquanta, dove l’arbitro va dai giocatori e per un minuto li catechizza: ‘Guarda, devi comportarti bene’. Suvvia, non perdiamo tempo. A che serve tutto questo? A niente”. E ancora: “Secondo me gli arbitri non lavorano abbastanza, è inaccettabile quello che succede”. Alexandre Lacazette, alla seconda stagione nell’Arsenal, si dice addirittura spaventato: “Le decisioni arbitrali mi sorprendono. Io penso sia tutto un po’ pericoloso. Ma quando vedo che nessuno rimane scioccato, dico a me stesso che è dev’essere normale”. L’attaccante francese si è pure permesso di sparare a zero su un argomento sacro in Inghilterra: “Mi manca l’atmosfera della Ligue 1, è migliore rispetto agli stadi inglesi. Qui i tifosi sono più spettatori che tifosi”. Vale la pena chiudere con Dietmar Hamann – che ha vestito le maglie di Newcastle, Liverpool e Manchester City per oltre un decennio: “La Premier League ha venduto per quindici anni una Skoda, spacciandola per una Lamborghini. Il fatto che il campionato inglese sia visto in tutto il mondo non lo rende il miglior prodotto in circolazione”.

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