Foto LaPresse

L'addio tra Mourinho e il Manchester United doveva arrivare prima

Piero Vietti

Mou lascia i Red Devils dopo la sconfitta per 3-1 in casa del Liverpool: troppo per tifosi e società. Gli errori del portoghese a Manchester e il caso irrisolto con Pogba

Non poteva che finire così. E forse è bene che sia finita così. L'addio, pare consensuale, di Mourinho al Manchester United è l'eutanasia di un amore mai scoppiato davvero, se non a sprazzi, brevi innamoramenti furiosi da consumare per la durata di una vittoria all'ultimo minuto o di una coppa bella ma poco importante come l'Europa League.

 

Mourinho lascia il Manchester, e forse doveva lasciarlo prima. Come in tante coppie tenute insieme controvoglia ogni piccolo segnale positivo – su tutti, la vittoria in rimonta a Torino contro la Juventus – era letto come quello decisivo, quello che avrebbe portato la svolta attesa. Aveva finito i gesti eclatanti, lo Special One, maestro nel resuscitare situazioni morte e riaccendere l'entusiasmo in chi nonostante tutto gli crede. Sembra fermo a qualche anno fa, Mou, attorno a lui si è cominciato a giocare un calcio più bello e vincente, sono cresciuti allenatori diversi, a volte migliori. La storia non basta, le statistiche nemmeno, la mano dietro l'orecchio e le tre dita a ricordare il Triplete agli juventini e le tre Premier vinte ai tifosi del Chelsea fanno notizia, conquistano i cuori, ma poi finiscono. Quando non riesci a vincere con una squadra che non sarà certo il capolavoro perfetto che plasmò Sir Alex Ferguson ma neppure un gruppo che merita di stare così lontano dalla vetta della Premier League, qualcosa non va.

 

Dopo il 3-0 subìto in casa contro il Tottenham lo avevamo dato per finito, sportivamente morto. E' questione di ore e verrà esonerato, twittano tutti al 90' di quella partita. Lui invece ha un colpo di genio dei suoi: va sotto il settore dei tifosi più caldi, inizia ad applaudirli sempre più convinto. Trasforma fischi e indifferenza in applausi per lui. I fan sanno che Mou avrebbe voluto una squadra diversa, che aveva chiesto altri acquisti che non sono arrivati. La curva lo perdona. E' salvo. Per poco. Sarà il fantasma di Ferguson, al cui confronto nessuno al mondo può reggere, sarà che il calcio è fatto di cicli che adesso girano lontani dall'Old Trafford. Arrivano alcune vittorie in rimonta all'ultimo minuto: la squadra è con lui, i tifosi pure, la società non può cacciarlo, si dice. Supera il girone di Champions League, obiettivo minimo per la prima parte di stagione. Lo fa male, però, e grazie a un autogol della Juve.

 

Quello che non gli si può perdonare è la sconfitta per 3-1 a Liverpool. Per i tifosi dello United la sfida contro i Reds è più importante del derby contro il City – quando Anfield intona “You'll never walk alone” a inizio partita il settore ospiti non ascolta in silenzio come fanno quasi tutti, ma canta e disturba la liturgia sacra in corso – è la partita da non perdere, e comunque da giocare alla morte. Mai nella storia si era visto un Manchester così impaurito e rinunciatario come quello di domenica pomeriggio: tutti in difesa a sperare di non prenderle, puniti da una doppietta di Shaqiri.

 

 

Sotto la pioggia di Liverpool Paul Pogba guardava la partita dalla panchina. Lui è l'altro motivo per cui Mou se ne va da Manchester: non è riuscito a domarlo, a capirlo, a farlo rendere come avrebbe dovuto. I due hanno litigato pubblicamente, l'allenatore lo ha criticato nelle dichiarazioni post partita, Pogba è rimasto in silenzio mostrando insofferenza, giocato spesso male. Da settimane sempre più giornali lo davano alla Juve già da gennaio (ieri Dybala ha postato una foto di loro due insieme, scatenando commozione e aspettative nei tifosi juventini). Non si può bruciare un talento come Pogba, uno con il suo seguito e i suoi colpi non si può perdere perché l'allenatore non è in grado di gestirlo. Adesso che Mou se ne va cambia tutto. Antonio Conte o Zinedine Zidane per il futuro, per ora probabilmente un cosiddetto traghettatore. Un'altra stagione persa per lo United, che da anni non è più abituato a essere quella da battere. José aveva mourinhizzato la squadra, si parlava più di lui che del Manchester, se vinceva era lui che vinceva, se perdeva era lui che era stato battuto. Nel calcio contano i risultati, e Mourinho sembra avere smarrito la strada per ottenerli. All'Old Trafford hanno avuto pazienza. Ora però è finita.

Di più su questi argomenti:
  • Piero Vietti
  • Torinese, è al Foglio dal 2007. Prima di inventarsi e curare l’inserto settimanale sportivo ha scritto (e ancora scrive) un po’ di tutto e ha seguito lo sviluppo digitale del giornale. Parafrasando José Mourinho, pensa che chi sa solo di sport non sa niente di sport. Sposato, ha tre figli. Non ha scritto nemmeno un libro.