Novak Djokovic (foto LaPresse)

Djokovic è tornato dall'inferno

Giorgia Mecca

Il tennista serbo conquista per la terza volta Wimbledon (è il suo tredicesimo Slam) dopo due in cui aveva smarrito sé stesso e il suo tennis 

Ha ricominciato a vincere Novak Djokovic. A due anni di distanza dal suo ultimo titolo Slam il tennista serbo di trentuno anni ha conquistato il suo terzo titolo a Wimbledon, vincendo in tre set contro il  sudafricano Kevin Anderson.

Subito dopo aver perso ai quarti di finale del Roland Garros contro Marco Cecchinato, Djokovic aveva ammesso di non essere sicuro di giocare la stagione sull’erba. Era arrabbiato, confuso, demoralizzato: non si ricordava più come si vince una partita di tennis. Le gambe continuavano a muoversi come al solito, la testa era a pezzi, non ne poteva più di tennis, tennis e soltanto tennis. Non ne poteva più di essere il numero uno al mondo, è una fatica anche quella. Era il dicembre del 2015, il giocatore di Belgrado aveva concluso la stagione con ottantadue vittorie e soltanto sei sconfitte. Aveva vinto Australian Open, Wimbledon e Us Open, sei tornei Master 1000 e le Atp Finals. Chi avrebbe potuto fermarlo? Dentro al campo nessuno. Gli mancava soltanto la terra rossa del Roland Garros, sarebbe arrivata l’anno dopo, in finale contro Andy Murray. Dopo Parigi Djokovic si è svuotato, non aveva più obiettivi da raggiungere, non sapeva più perché giocava.

 

Da allora sono passati due anni di inferno tra diete vegetariane e poi vegane, guru, santoni, preghiere. E poi Boris Becker e Andre Agassi in panchina, il divorzio dall’allenatore che lo ha fatto diventare il più forte giocatore del mondo Marian Vajda, due figli e molte ombre sul matrimonio. Il problema minore sembrava essere un’operazione al gomito destro che lo ha tenuto fuori per cinque mesi. Al suo ritorno, ci sono state sfuriate dentro al campo, palline scagliate con violenza contro la rete, occhiate cariche di odio, racchette spaccate e sorrisi amari, rabbia che non portava da nessuna parte. Djokovic non sembrava neanche l’ombra di sé stesso. Nel 2013, quando stava per diventare il padrone del tennis, aveva scritto un libro “Il punto vincente”, la sua personale strategia per raggiungere l’eccellenza fisica e mentale. In poco più di due anni, il tennista serbo aveva perso tutto, non riusciva più a rimanere concentrato per più di mezz’ora. Novak Djokovic giocava a tennis da una vita e da una vita la sua era considerata la migliore risposta al servizio del circuito, ma lo sport non vive di rendita, il glorioso passato non garantisce attenuanti, i campioni devono dimostrare di esserlo ogni giorno. Djokovic non lo era più, aveva passato più di duecento settimane da numero uno al mondo, adesso era scivolato fuori dai primi venti.

 

Quest’anno ha cominciato la stagione perdendo al secondo turno sia nel torneo di Miami che in quello di Indian Wells. A Londra temeva l’ennesima sconfitta, non si fidava più di niente, nemmeno di sé stesso e dei suoi colpi. Invece, da testa di serie numero 12, ha sconfitto Kyle Edmund, Kei Nishikori, e in semifinale Rafa Nadal dopo cinque set e più di cinque ore di partita. Durante le settimane del torneo si è arrabbiato con gli arbitri, con gli avversari e con gli organizzatori del torneo che gli avevano negato il campo Centrale. Ha dovuto alzare la voce, ricordare loro che non esistono soltanto Nadal e Federer, anche lui ha vinto Wimbledon, anche lui meritava il palcoscenico più bello del mondo. In semifinale contro Nadal, Djokovic si è ricordato il motivo per cui continua a giocare a tennis. Ha urlato e imprecato e lanciato sguardi carichi di odio, ha avuto paura di perdere e poi di vincere, però la sua testa è sempre rimasta dentro alla partita. Nadal, con i piedi in campo, provava ad aggredirlo, il serbo rispondeva a tutto, tirando ancora più forte. Oggi in finale contro Anderson, reduce dalla maratona vinta contro John Isner 26 a 24 nel quinto set, Djokovic ha vinto in tre set. Vincendo si è tolto di dosso due anni di rancore e di cuore in gola; le sconfitte nei primi e nei secondi turni, la distanza dai migliori, la tentazione del ritiro, l’idea che il tempo per lui fosse finito per sempre. L’australiano Rod Laver, che sui campi di Wimbledon ha fatto la storia del tennis, ha commentato la vittoria di Djokovic con un tweet: “Il tuo ritorno è stimolante”. Da domani il tennista serbo ritornerà tra i primi dieci giocatori al mondo, dopo aver vinto il suo tredicesimo titolo del Grande Slam. Non è ancora finita, il tennis ringrazia.

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