Naomi Osaka (foto LaPresse)

La nuova regina degli Us Open

Giulia Pompili

Ha la doppia cittadinanza e quindi per i conservatori non è giapponese. In realtà Naomi Osaka è il super simbolo del “New Japan” dei Millennial giapponesi. Parla poco e vince molto

Roma. La sua è stata la vittoria meno celebrata della storia degli Us Open. Perché più dei due set in cui Naomi Osaka ha stracciato la regina Serena Williams si è parlato della “controversa finale” disputata a New York. In Giappone la notizia della vittoria del primo Grande slam per una cittadina nipponica è arrivata domenica mattina, e i consueti programmi della tv generalista sono stati interrotti per lanciare le immagini del trionfo. A quel punto, anche chi non ha mai visto il tennis, in Giappone, non ha potuto ignorare che Osaka è sì giapponese, ma è una hafu, termine dell’idioma nipponico che descrive – non proprio con un’accezione positiva – chi non ha entrambi i genitori nati dal Sol levante (hafu viene da half in inglese, mezzo). 

 

Fisicamente, Naomi Osaka è una combinazione perfetta: ha gli occhi allungati, la pelle scura e i capelli ricci, è fisicamente potente ma si muove e parla come una giapponese. Nel comportamento, più che per la lingua: nei commenti agli articoli di giornali nipponici e sui social network, ieri, giravano i video della Osaka che, a domanda dell’intervistatrice posta in giapponese, lei risponde solo “wakarimasen”, non ho capito, “eego”, parliamo in inglese. In perfetto stile understatement asiatico, dopo aver battuto il suo mito di sempre, Serena Williams, ha ringraziato il pubblico presente e si è scusata per aver battuto la favorita

 

Del resto, nel paese in cui la purezza razziale è considerata un valore fondamentale, e l’opinione pubblica giudica ancora con fatica l’idea di aprire i confini agli stranieri – nonostante l’inarrestabile declino demografico e la mancanza di manodopera – quella di Naomi Osaka è una storia diversa, che mette il Giappone di fronte alle difficoltà della sua società ancora chiusa e, in qualche modo, xenofoba. Non è un caso che sia stato proprio il primo ministro Shinzo Abe a trasformare la Osaka in un simbolo politico. Abe ha celebrato su Twitter la ventenne, famosa nei circuiti del tennis già da qualche anno e attualmente settima nella classifica mondiale, e ha ringraziato la Osaka per aver ridato speranza al Giappone colpito ultimamente da numerose catastrofi naturali.

 

Nata a Osaka da madre giapponese, Tamaki Osaka, e dall’haitiano Leonard François, che si era trasferito negli anni Novanta in Giappone dopo aver frequentato la New York University, Naomi ha vissuto nel paese soltanto tre anni. Nel 2000 l’intera famiglia si è trasferita in Florida, e le sorelle Osaka hanno mantenuto il cognome della madre – accade quasi obbligatoriamente per i bambini che nascono e vivono su territorio giapponese di dover adottare il cognome del genitore giapponese. La ragazza ha la doppia cittadinanza, americana e giapponese, e quando è arrivato il momento di iscriverla in una federazione di tennis pro, Francois – che le fa anche da allenatore, e dice di ispirarsi ai metodi di Richard Williams, padre delle sorelle Williams – ha deciso di iscriverla a quella giapponese, dove secondo lui avrebbe avuto più opportunità. E in effetti Naomi oggi è una specie di idol in Giappone, soprattutto tra i giovani sportivi.

 

Su Instagram però posta le fotografie dei suoi allenamenti e delle serate in discoteca, e insomma è un’americana normale, sponsorizzata da Adidas e anche da Nissin, la marca degli instant noodles più famosi d’Asia. E’ il simbolo di un “New Japan” fatto di Millennial che si curano poco dell’identità e delle appropriazioni culturali, lontano forse dalla vicenda di qualche anno fa della modella Ariana Miyamoto, Miss Giappone ma di origini afroamericane, e per questo considerata “troppo poco giapponese” per rappresentare il Giappone alla competizione di Miss Universo.

 

La Osaka è “una delle giovani star più interessanti nello sport di oggi”, ha scritto a fine agosto sul New York Times Brook Larmer in un lungo ritratto, “è cresciuta in un paese (gli Stati Uniti), ne rappresenta un altro (il Giappone) e, per alcuni, è un’atleta simbolo di qualcosa di più grande, come il futuro multiculturale. Giocando sotto la bandiera di una nazione insulare nota per la sua omogeneità razziale, Osaka sfida i pregiudizi sul fatto che possa essere accettata davvero come giapponese. Da parte sua, Osaka, timida e simpatica, con un carattere inaspettatamente candido, sembra essere concentrata unicamente sul diventare la prossima Serena Williams”.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.