Giovanni Malagò (foto LaPresse)

La resa di Malagò

Salvatore Merlo

“Il calcio è una gabbia di matti. Lascio perdere. La Figc? Surreale. Tavecchio è ancora lì”. Parla il presidente del Coni

Non la chiama proprio “gabbia di matti”, ma poco ci manca. E infatti quando gli chiediamo perché secondo lui nel mondo del calcio italiano, che altrove è business e professionismo, prevale invece il pittoresco, il folclore dei Lotito e dei Tavecchio, degli Zamparini e dei Ferrero, lui sorride. “Credo che il calcio dia alla testa”, dice. E allora la domanda non è retorica: da noi queste figure entrano nel calcio perché sono pittoresche, o sono pittoresche perché stanno nel calcio? “Bella domanda. So soltanto questo: professionisti, dilettanti, calciatori, allenatori, presidenti… questi del calcio litigano troppo e sono incoerenti. Cambiano idea dalla sera alla mattina. Si sono ricompattati solo per impedirmi il commissariamento della Figc. E allora sa che le dico? Io alzo le mani. Se sono contenti di come vanno le cose, auguri”.

 

E insomma si arrende, Giovanni Malagò, il presidente del Coni che dopo l’eliminazione dell’Italia dai Mondiali avrebbe voluto commissariare la Federcalcio e probabilmente anche la Lega di serie A, il super gruppo dei venti presidenti delle squadre maggiori che invece lunedì hanno riconfermato alla guida, in proroga, Carlo Tavecchio, il presidente dimissionario della Figc. “Sembra una commedia di Ionesco”, dice Malagò. “Tavecchio, dimissionario, sta gestendo l’ordinaria amministrazione alla Federazione. Ed è contemporaneamente anche commissario prorogato della Lega A. E’ semplicemente surreale”. Si è dimesso, ma si è ri-immesso. “E io non posso fare nulla”, risponde Malagò. “Il presidente del Coni ha compiti di vigilanza su sessantatré federazioni e sulle discipline sportive associate. In tutte queste federazioni vige una regola base: se si dimette il presidente, arriva il commissario. La regola vale per tutte le federazioni, tranne che per una. Indovini quale?”. Quella del calcio. “Esatto! Se si dimette il presidente della Federcalcio, il Consiglio federale, seppur decaduto, poiché non determina ufficialmente le dimissioni, non mette il Coni nelle condizioni di intervenire”. E allora non c’è niente da fare. “Non posso esporre il Coni a una guerra. Malgrado abbia dato uno sguardo a dei sondaggi commissionati dalla Gazzetta dello Sport…”. E che dicono i sondaggi? “Dicono che il 91 per cento degli italiani vorrebbe che la Federcalcio fosse commissariata”. Ma non si può fare niente. “Niente. E questo malgrado la Lega di Serie A sia da sette mesi con un commissario che è atipicamente, inspiegabilmente, incredibilmente il presidente dimissionario della Figc”. Cioè Tavecchio. “Guardi. Io dico a questi del calcio: ‘Vedetevela voi. Se le cose le avete volute così io non ci posso fare niente’”. Perché il mondo del calcio è chiuso su se stesso? “Per un insieme di cose: denaro, potere, interessi, vanità… E’ un mondo che litiga, ma che si è compattato come un monolite quando ho detto che li avrei commissariati. Adesso vedrete che torneranno a litigare. Su ogni cosa”.

 

Potrebbero anche riuscire a cavarsela da soli, trovare un buon presidente della Figc, per esempio? “Lo vedo complicato. Realisticamente. Non è un caso se, nella storia, la Figc è la federazione sportiva che è stata commissariata più volte in assoluto. Ci sono regole statutarie che non funzionano. Ci sono minoranze di blocco, gruppi d’interdizione, interessi particolari che impediscono il funzionamento dell’organismo. E questo vale per tutto il mondo del calcio”. Esempio? “Per scegliere il presidente della Lega sono necessari quattordici voti su venti. Il risultato è che la serie A si trascina da due anni in una situazione di stallo. E’ chiaro che le cose andrebbero gestite in modo diverso. In Europa siamo passati dal primo posto al quarto. E l’eliminazione dai Mondiali è stato un evento catastrofico. Un danno sportivo, emotivo, e persino economico. Nel 1958, l’unica altra volta in cui non ci qualificammo, le squadre in competizione erano sedici. Erano l’élite. In questi Mondiali del 2018, questi che non giocheremo, sa quante squadre competono?”. No. “Trentadue”. Altro che élite. Siamo scarsi. “Quando le cose vanno male, si ha la possibilità di ricominciare. Di premere un tasto ‘reset’. Ma i signori del calcio pensano onestamente di poter risolvere così, come stanno facendo, i problemi di questo sport?”.

 

Tutti dicono che alla fine il prossimo presidente della Figc sarà Cosimo Sibilia, il presidente della Lega nazionale dilettanti. Stessa provenienza di Tavecchio. “Se i dilettanti vanno compatti, vincono”, dice Malagò. Ma i padroni delle squadre di serie A si lamentano, dicono che è strano che i dilettanti contino più di loro nella Federazione. “E’ vero che contano di più. Ed è vero che è strano. Ma è altrettanto strano che i presidenti della serie A, quelli stessi che si lamentano delle regole ‘strane’, corrano a riconfermare Tavecchio. Potevano afferrare la mano tesa del Coni, e accettare un commissario ad acta per modificare queste regole. E invece hanno Tavecchio. La verità è che seguono traiettorie inafferrabili. Bravo chi li capisce”. Sono incoerenti. “Un caos assembleare che ricorda certa irredimibile burocrazia italiana. Negli altri sistemi, negli altri paesi, chi comanda nel calcio è una figura terza. Laica. Da noi invece è la rappresentanza assembleare degli stessi presidenti delle squadre. Nella League americana c’è un signore che comanda, che ha tutta la responsabilità della baracca, che la gestisce come un’azienda. E se non funziona lo mandano via. E così è anche nella Premier league inglese”. E in Italia? “Qui ci sono piccoli potentati, portatori di interessi particolari che fanno la lotta nel fango gli uni contro gli altri. E da qui deriva l’incoerenza”, che li fa sembrare una gabbia di matti. O di furboni. “E’ un problema di cultura, di mentalità e di regole”.

 

Ma quali caratteristiche deve avere un commissario, o un presidente della Figc? “Non deve essere un portatore degli interessi particolari di uno di questi gruppi”. Lo farebbe lei? “No. Faccio il presidente del Coni, e ho molti impegni gravosi. Il presidente della Figc deve passare lì tutte le sue giornate. C’è da rimboccarsi le maniche e lavorare tanto”. Nel calcio si lamentano. Dicono che lei ha tagliato i fondi pubblici al calcio. “Fanno finta di non sapere come stanno le cose. I fondi pubblici si danno in base ai risultati ottenuti. E il calcio, se uno avesse dovuto seguire con severità i parametri, avrebbe dovuto ricevere persino di meno”.

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  • Salvatore Merlo
  • Milano 1982, vicedirettore del Foglio. Cresciuto a Catania, liceo classico “Galileo” a Firenze, tre lauree a Siena e una parentesi erasmiana a Nottingham. Un tirocinio in epoca universitaria al Corriere del Mezzogiorno (redazione di Bari), ho collaborato con Radiotre, Panorama e Raiuno. Lavoro al Foglio dal 2007. Ho scritto per Mondadori "Fummo giovani soltanto allora", la vita spericolata del giovane Indro Montanelli.